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mentono sapendo di mentine

giovedì 26 agosto 2010

Quell'ansa segreta del Po


Viaggio lungo il Parco fluviale alla confluenza con la Dora Baltea
Di MARCO ALBINO FERRARI

CHIVASSO
Seguo gli scarponi di Enrica che mordono sicuri il suolo argilloso reso duro dal sole. Non c'è sentiero, ma sassi, e terra da tempo digiuna d'acqua, e arbusti di biancospino in un saliscendi continuo tra grosse vene di rena allungate nella direzione dei flutti. Non si vede una goccia in questo piccolo deserto di confine tra campagna e fiume. Su tutto spira un vento meraviglioso, teso, dominante, gelido. Eppure non è vento, mi corregge Enrica senza voltarsi: «Non sbagliarti, questa è l'aria mossa dalla corrente del fiume. Sentirai fra poco…».
Pare che oltre l'ampia lunata della Dora Baltea alla confluenza col Po, ci sia uno degli spettacoli fluviali più suggestivi della zona. Così mi hanno assicurato, avvertendomi anche che nel labirinto dei greti distesi sulla campagna mobile non sarebbe stato facile trovarlo. Ma mi fido di Enrica: ci arriveremo.


Enrica Fantini ha le spalle larghe da atleta, e una pelle luminosa e abbronzata. Tiene i pollici infilati sotto gli spallacci dello zaino, e socchiude gli occhi nella luce accecante del mattino di agosto. È un architetto specializzato in paesaggio, ma da qualche anno ha intrapreso una nuova professione: l'accompagnatrice naturalistica. E lavora anche per il Parco fluviale del Po torinese, dove stiamo camminando. Mi ha spiegato che in Piemonte l'iter per diventare guida naturalistica consiste in un corso di 400 ore, tra lezioni di zoologia, botanica, storia del territorio, meteorologia, pronto soccorso. Una professione che ammiro, perché all'interno dei confini delle sue competenze tende a stimolare soprattutto il piacere dell'osservazione. A cui spesso si associa lo stupore. Ho capito che Enrica non si limita a comporre didascalie puntuali ai quadri visivi che attraversiamo, ma cerca nessi, crea connessioni per interpretare gli aspetti peculiari del paesaggio. Non è poco.

Abbiamo lasciato la sterrata in una delle zone di esondazione, nella vasta golena tra Borgo Revel e Crescentino, pochi chilometri a est di Chivasso. Ci troviamo nel fondo di un catino che raccoglie le acque di buona parte delle Alpi Occidentali. Sembra, in un certo senso, di stare al centro di un enorme scolo naturale. Da Tornio a qui entrano nel Po la Dora Riparia, la Stura di Lanzo, il torrente Malone, l'Orco, la Dora Baltea. Ogni affluente con la sua storia e le sue determinazioni simboliche trascinate nel punto più basso della pianura. L'Orco, ad esempio, è stato considerato fin da tempi remoti il fiume dei metalli: nelle sue acque si cercava l'oro (Eva d'Or, veniva anche chiamato) e intorno al suo bacino montano si è sviluppata la metallurgia e la tradizione dello stampaggio a caldo. Siamo nel centro di un semicerchio circondato per diversi mesi l'anno da cime imbiancate di neve. Neve che prima o poi arriverà quaggiù. All'intera area nel 2006 si è provveduto a riconoscere un nome significativo: «Po confluenze nord ovest»; così hanno voluto il Parco fluviale del Po torinese insieme agli amministratori provinciali. Si sono favoriti processi di rinaturalizzazione, e soprattutto si è deciso di considerare da un'unica prospettiva d'insieme il complesso dei sedimenti che la storia, antica e contemporanea, ha lasciato intorno al fiume.

È la valorizzazione più intelligente in chiave turistica del così detto «paesaggio culturale» (che meriterebbe di essere presa ad esempio per altri tratti del Grande Fiume). Si sono posti sullo stesso piano siti archeologici, chiese, castelli, abbazie, la centrale termoelettrica di Chivasso, e anche le maestose chiaviche ottocentesche della presa del Canale Cavour. Il cruciale Canale Cavour che dagli Anni Sessanta dell'Ottocento soddisfa con l'acqua del Po l'immensa sete delle risaie del Vercellese e del Novarese (due litri al secondo per ettaro, da aprile a settembre).

«Qui il terreno è mobile», mi spiega Enrica camminando veloce verso il fiume. «Quando c'è siccità spuntano nuovi campi agricoli; quando arriva la piena le acque colmano un fitto sistema di lanche e morte di fiume fra i più ricchi di fauna del Po. Ed ibrida è anche la fauna: animali selvatici e animali più vicini all'uomo: fagiani, lepri, cinghiali, uccelli di passo come il cavaliere d'Italia, e gabbiani e cormorani legati alle discariche di Torino. Una convivenza tra estremi. Bello, non ti pare?».

Mi viene da pensare che tutto, qui, in questo luogo di confluenze, è ibridazione, convergenza, disordine: rimarrà deluso chi insegue l'endemico, o, peggio, l'ingenuo mito della purezza.

«Eccola!», esclama Enrica fermando i suoi passi sulla riva. «Volevi il punto più potente dell'intera area delle confluenze? Ora ci siamo».

Oltre l'ultima sponda franosa, si spalanca il Po con le sue acque ancora quasi limpide. Si muove mansueto formando piccoli mulinelli che punteggiano la superficie liscia. Sono acque su cui ci si può specchiare, acque placide del sogno di narciso. Il Po, come il Danubio, nasce da un filo d'acqua che zampilla ridente: è più avanti che crescerà fino a diventare il Grande Fiume. Già grande sgorga invece la Dora dalle bocche dei ghiacciai. «La Dora è la somma di tutto il mondo glaciale della Valle d'Aosta. La sua acqua ribolle furiosa. È bianca, viva, gelida, satura delle sospensioni limose dei graniti erosi dal ghiaccio. Il limo è il simbolo stesso della fecondità, e al il suo biancore potrebbe ricordare il latte, che dà vita, che fertilizza i campi. Quanta maternità c'è nella Dora!», esclama felice Enrica.

Vedo la Dora entrare nel Po con una furia spaventosa. Lei bianca, il Po trasparente. E per decine di metri le due acque rimangono separate. Solo più avanti l'acqua dei ghiacciai si insinua nel lento movimento del Grande Fiume imprimendo onda su onda nuova energia. «La Dora andrà a una decina di chilometri all'ora. Dunque meno di 12 ore fa, ogni sua goccia era un granello di ghiaccio del Miage, della Brenva, del Rutor, del Lys. La senti?, anche l'aria dei due fiumi si mischia esattamente come l'acqua». Un fenomeno simile si trova nel centro di Lione: il Rodano, grande fiume glaciale, trapassa potente la città e si incontra con le acque calme della Saona: è in quel punto che sorge il nuovo Museo delle Confluenze, i cui architetti hanno enfatizzato le peculiarità del luogo giocando sulla simbologia dell'ibridazione.

Qui invece lo spettacolo del Po che incontra l'acqua di fusione dei più alti ghiacciai delle Alpi non lo vede nessuno in questa calda giornata d'agosto. Basterebbe seguire i passi di un accompagnatore naturalistico per capire come gli spettacoli più inattesi sono proprio nascosti dietro casa. Magari oltre un antico complesso industriale.
Le altre tappe
da sito de La Stampa

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