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mentono sapendo di mentine

venerdì 13 agosto 2010

Il paese delle prugne verdi


Non è sempre naturalistica la prosa di Herta Müller ne «Il paese delle prugne verdi» (Keller Editore, pp.254, euro 14). È, piuttosto, poetica, procede per immagini non ovunque facilmente decifrabili, e che però si dipanano man mano che si procede nella lettura. Non sappiamo se questa prosa criptica sia frutto della fervida immaginazione dell'autrice, del clima di terrore e segretezza vigente nella Romania degli anni '80 sotto Ceausescu, o di entrambi.
Certo è che, questo clima, lo rende bene. Rende bene l'atmosfera di un paese dove tutto doveva diventare altro se si voleva sopravvivere. Dove, se uno dissentiva anche di poco dal pensiero ufficiale, non poteva più chiamare le cose col loro nome. Nello scrivere ad altri dissenzienti non doveva scordare di mettere capelli nelle lettere: «Se dentro non c'è, vuol dire che la lettera è stata aperta». Né doveva dimenticare di scrivere «per l'interrogatorio una frase con forbicine per unghie... per la perquisizione una frase con scarpe, per il pedinamento una frase raffreddata».

Il titolo del libro allude alla credenza che se si mangiano troppe prugne verdi si muore di febbre. La Romania di Ceausescu è un paese di morte, senza prospettive, fatto di campagne polverose, di campi di girasoli anneriti, di villaggi cenciosi. Né è meglio la città coi suoi dormitori per studenti, i tram bucati dal cui pavimento si intravede la strada, le fabbriche e i parchi incolti dove le ragazze si danno agli operai del mattatoio in cambio di poche frattaglie. L'immagine dominante del mattatoio e degli operai che bevono sangue di animali sgozzati non descrive solo ciò che è, è anche metafora di un paese dove si è costretti a bere il sangue del prossimo, dove chiunque può denunciare l'altro e diventare complice del potere, dove non ci si può fidare nemmeno dell'amico più caro. Strani suicidi decimano le menti migliori di una generazione, strane morti non cessano nemmeno dopo che si è riusciti a espatriare, così che sulle esistenze grava una spada di Damocle, un'oscura minaccia. La prosa della Müller, irritante a tratti per eccesso criptico, riscatta con immagini limpide e potenti un materiale di per sé deprimente, una realtà a noi estranea o solo parzialmente nota. Tra i meriti del libro quello di rivelarcela e farla toccare con mano.

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