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mentono sapendo di mentine

giovedì 21 gennaio 2010

Se dalla scuola (per legge) scompare la geografia

DI ILVO DIAMANTI
Il Consiglio dei Ministri del prossimo venerdì 22 gennaio dovrebbe approvare la riforma della scuola superiore. Nei nuovi curricoli dei licei e degli istituti tecnici e professionali, in via di definizione, la geografia scompare del tutto - o quasi. Non si sono sentite proteste, al proposito. Ad eccezione di quelle sollevate, comprensibilmente, dalle "associazioni di categoria" (in testa l'Associazione Italiana Insegnanti di Geografia e la Società Geografica Italiana), che hanno lanciato un appello accorato (su www.aiig.it e www.luogoespazio.info). Ma c'è da dubitare che troveranno grande ascolto. I problemi che contano e appassionano sono ben altri. Anche se il territorio continua ad essere evocato, per ragioni politiche e polemiche. I confini: vengono chiamati in causa quando c'è da respingere i clandestini. Frontiere invisibili divengono muri visibili per marcare la distanza dagli "stranieri". Per alimentare domanda di sicurezza, per richiamare la comunità perduta. Il nostro piccolo mondo che scompare, schiacciato dal grande mondo che incombe. Così si invocano le ronde, senza poi formarle. E i "confini" della città sono marcati da cartelli segnaletici che, accanto al nome di città "straniere" gemellate, avvertono: non vogliamo "stranieri", guai ai "clandestini". (Quasi che i clandestini si dichiarassero come tali, apertamente, all'ingresso della città).


Siamo orfani dei confini che, tuttavia, non riconosciamo. E non conosciamo più. Come il territorio. Rimozione singolare, visto che mai come in quest'epoca le identità ruotano intorno ai riferimenti geografici. L'Oriente e l'Occidente. Che, dopo la caduta del muro di Berlino, non sappiamo più come e dove delimitare. In Italia, il Nord e il Sud. La Lega Nord e il Partito del Sud. Si rimuove la geografia mentre la geografia si muove. Insieme ai confini. Centinaia di comuni vorrebbero cambiare provincia. Oppure regione. E molte province si spezzano; mentre, parallelamente, ne nascono altre di nuove. E se guardiamo oltre i nostri confini abbiamo bisogno di aggiornare le mappe. Un anno dopo l'altro. Per de-finire i paesi (ri)sorti in seguito al crollo degli imperi geopolitici. Per "nominare" contesti senza nome oppure ignoti, un attimo prima, il cui nome è rivendicato da popoli che ambiscono all'indipendenza. Da minoranze che vorrebbero venire riconosciute e da maggioranze che ne reprimono le pulsioni. Così, scopriamo, all'improvviso, dell'esistenza di Cecenia, Abkhazia, Ossezia, Timor Est. Mentre Cekia e Slovacchia sono, da tempo, felicemente divise. Ma molti non lo sanno e continuano a "nominare" la Cecoslovacchia.

In questo paese - ma non solo in questo - il "popolo" più detestato è quello Rom. Gli zingari. Accusati di molte colpe - talora a ragione. La principale fra tutte: non avere una patria. Una residenza. Rifiutarla. Troppo, per una società che ha dimenticato il territorio - sepolto sotto una plaga immobiliare immensa e disordinata. Ma continua a evocare le "radici". E non sopporta chi è nomade. Sempre altrove.

Questa società: non ha più bisogno di mappe, bussole, atlanti, carte geografiche. Basta il Gps. Ciascuno guidato da un satellitare o dal proprio cellulare. In auto ma anche a piedi, in giro per la città. Una voce metallica, senza accento, intima. "Ora girare leggermente a destra, poi andare dritto per 100 metri". Ma se finisci contromano, una marea di auto che ti corre (in)contro; oppure davanti a un muro, a un divieto di circolazione, e ti fermi, preoccupato, si altera: "Andare dritto!!". E quando cambi direzione, per non essere travolto, non si rassegna e ordina: "Ora fare inversione a U". Anche se hai imboccato una strada a senso unico.

La società del Gps è popolata di persone etero-dirette, che si muovono senza un disegno, né un progetto. Non sanno dove andare e neppure dove sono. Questa società - questa scuola - non ha bisogno di geografia, né di geografi. Ma neppure della storia: visto che la geografia spiega la storia e viceversa. Questa società - questa scuola - questo paese: dove il tempo si è fermato e il territorio è scomparso. Dove le persone stanno ferme. Nello stesso punto e nello stesso istante. In attesa che il Gps parli. E ci indichi la strada.
(21 gennaio 2010)

lunedì 11 gennaio 2010

De Andrè, le parole segrete

Viaggio nel caveau del Centro Studi di Siena che custodisce le carte inedite del grande cantante-poeta. Il racconto di Gino Castaldo



Notturni. L’inedito ritrovato


La lettera a Gesù bambino


Pensieri sparsi: estasi e musica


'Non al denaro, non all'amore, né al cielo'. Nel '71 un giovanissimo Nicola Piovani viene chiamato da De André per gli arrangiamenti del disco ispirato all'Antologia di Spoon River


''Il tesoro più grande che mi ha lasciato De André è il modo in cui viveva. Non faceva manifesti a parole: era uno che si comportava e basta". Il ricordo di Nicola Piovani

De Andre segreto

Dieci anni senza Faber. Il cantautore rivive attraverso le parole degli amici e, soprattutto, della sua musica

In studio Teresa Marchesi (giornalista Rai). In collegamento telefonico Dori Ghezzi, Gino Castaldo e Mauro Pagani. Conducono Francesco Fasiolo e Giulia Santerini

De Andrè, Ricordi e Canzoni

Aprile '97: in occasione del Premio italiano della Musica, il cantautore a colloquio con Carlo Moretti

Un viaggio nel Mediterraneo sulle tracce di "Creuza de ma"


UN VIAGGIO in mare seguendo la rotta di Crêuza de mä. Un progetto di Bruno Bigoni fatto di immagini e suoni, musica e storie, porti e città raccontati nel documentario Il colore del vento, attualmente in fase di lavorazione, che uscirà nelle sale tra qualche mese. Come il marinaio protagonista del disco di Fabrizio De André, il regista ha navigato e ha toccato diversi porti del Mediterraneo cercando di cogliere le diverse realtà attraverso figure incontrate sul posto. E sono racconti pieni di dolore, di fatica, di fughe e approdi in terre poco ospitali, lontane dalle guerre ma non per questo più comprensive.

Bigoni, che ha già affrontato l'eredità del poeta genovese realizzando il documentario Faber e il volume Accordi eretici, ha avuto l'idea di questo nuovo e impegnativo progetto riascoltando Crêuza de mä riscoprendone la forza e l'attualità malgrado siano passati 25 anni dalla sua creazione. E non è il solo che sente di dover dire ancora qualcosa sul cantautore scomparso l'11 gennaio 1999. Come dimostrano i numerosi musicisti, artisti, studiosi e curiosi che a 11 anni dalla morte non smettono di proporre approfondimenti, scoperte, sguardi inediti o rivisitazioni della sua opera.

L'autore non si è limitato ad affrontare la navigazione su un cargo, tornando più volte nei porti e nelle città, ma ha coinvolto nel progetto anche Mauro Pagani che, da autore del disco insieme a De André, ha contribuito alla stesura del soggetto e curerà la colonna sonora del documentario. Gli interventi parlati del cantautore genovese scandiscono le tappe del viaggio, diventando voce narrante e spina dorsale del film che non sarebbe mai nato senza il sostegno di Dori Ghezzi e della Fondazione Fabrizio De André che hanno concesso l'utilizzo dei materiali.

"Crêuza de mä è un'opera fondamentale" racconta Bigoni. "Mauro Pagani dopo la rilettura che ne aveva fatto cinque anni fa pensava di aver finito con quel disco, ma evidentemente non è così e si è lasciato coinvolgere convinto anche lui della necessità di riattualizzare le tracce del cd che hanno immaginato questo marinaio genovese che attraversa mari, luoghi, epoche storiche, per vedere cosa resta di tutto questo mondo che gira intorno al Mediterraneo, solcato da pescatori e uomini che faticano ma anche da turisti in crociera".

Un contrasto che esaspera le differenze, come dimostrano le tappe a Dubrovnik, dove i bombardamenti del '91 fanno da sfondo alle parole di una ragazzina, e di Bari, dove Violeta racconta il suo viaggio dall'Albania e la difficile integrazione. Il mercantile fa quindi tappa a Itaca, Istanbul, Lampedusa, poi fa rotta verso il Medio Oriente fermandosi a Sidone e a Sousse, in Tunisia. Poi ancora Barcellona per incontrare l'ultima testimone della rivoluzione anarchica del '36, e ancora Tangeri, per approdare infine a Genova ascoltando la storia di una giovane clandestina nigeriana giunta in Italia lungo la rotta degli schiavi e della prostituzione.

Alla fine del viaggio Bigoni non può che constatare le distanze. "Il Mediterraneo è sempre di più un mare che separa, in tanti secoli avrebbe dovuto cercare di unire popoli, usanze e lingue invece continua sempre di più ad allontanare questi mondi" commenta, tentando un riavvicinamento attraverso la musica con Mauro Pagani che si esibisce con la tunisina Mouna Amari. Ma non è abbastanza. "A Lampedusa, dove sono andato più volte, ho scoperto l'apertura e la disponibilità degli isolani verso gli extracomunitari che arrivano dal mare. Poi quando parli con i pescatori ti dicono che è un mare pieno di morti perché ne arrivano due ma sono partiti in cinque".

Bigoni ha girato moltissimo materiale e ora è impegnato nel montaggio. "Il film dovrebbe essere pronto in primavera, ma la sfida è ancora più grande perché tutto è pensato per il cinema. Però vado avanti perché so di non essere il solo ad avere un debito inestinguibile nei confronti di Fabrizio De André perché lui, come Pasolini, ha anticipato i tempi, ha cantato e raccontato gli ultimi leggendo la realtà in termini poetici e la poesia è l'unica lingua universale in grado di parlare a tutti".

Il titolo del documentario è stato preso dalle parole di un altra canzone di De André, "Il sogno di Maria" (da La buona novella): "io, per un giorno, per un momento, corsi a vedere il colore del vento". "Non c'è un motivo particolare" spiega il regista, "mi è piaciuta l'immagine di Maria che esce dalla porta per vedere cosa c'è fuori e scopre che il vento ha colori diversi, come il mare". di RITA CELI
Dal sito di Repubbli (09 gennaio 2010)

domenica 10 gennaio 2010


Un giorno un bambino affetto da una grave malattia, affaticato dalla quotidianità e preoccupato di dover affrontare un domani incerto, è riuscito a dire: "Aiutami a non avere paura".
Questa richiesta d'aiuto e risuonata profondamente dentro di me quando ho vissuto, da genitore, l'esperienza di un figlio malato e ho dovuto affrontare, a mia volta, la grande paura.
Io, questa storia non avrei mai voluto scriverla, ma le parole hanno preso vita da sole, nel dialogo con altri genitori, nell'umanità degli incontri con infermieri, medici, chirurghi, maestre ospedaliere, psicologi, neuropsichiatri, terapisti della riabilitazione...
Cristiana Voglino

Una mamma, una bambina gravemente ammalata ricoverata in ospedale in attesa di affrontare un difficile intervento chirurgico, un lieto fine. Una storia vera, calda e commovente, raccontata in presa diretta dai protagonisti.
Un libro coinvolgente per testimoniare la forza di restare adulti nella sofferenza. Un libro per dare voce al mondo dei bambini attraverso i loro disegni che interagiscono e dialogano con il racconto dell'autrice.

Cristiana Voglino, attrice, cantante, musicista, regista, si è formata all'Accademia di teatro-danza di Torino. Dal 1984 conduce corsi e seminari di didattica teatrale e musicale in Italia e all'estero, nelle scuole dell'obbligo, nelle sedi universitarie e para-universitarie, nelle scuole di teatro. Dal 1990 lavora presso la Compagnia Assemblea Teatro di Torino con la quale ha realizzato più di 30 produzioni in Europa e in Sud America come attrice e come autrice di musiche e testi teatrali e come regista. È socio fondatore di anteScena - centro di attività e servizi per il teatro.

Un libro per "aiutare tanti bambini e tanti genitori a non avere paura".

PER SAPERNE DI PIU'

domenica 3 gennaio 2010

ILVO DIAMANTI, SILLABARIO DEI TEMPI TRISTI


“La rotonda. La rotatoria. Pochi oggetti sono in grado di raffigurare la meccanica sociale in modo altrettanto efficace delle rotonde. Dove i pedoni non hanno diritto di cittadinanza. Dove i ciclisti possono circolare solo a loro rischio e pericolo. Dove devi farti coraggio ed entrare nel gorgo. Prenderti i tuoi rischi. Sgommando e tamponando, se necessario. Difficile trovare una metafora migliore per rappresentare una società che assiste, senza reagire, alla scomparsa del suo territorio e, insieme, delle relazioni fra persone. Una società dove le regole si interpretano a proprio piacimento, a proprio vantaggio. Dove le persone se ne stanno sempre più sole o in piccoli gruppi di familiari e amici, racchiuse in nicchie, come le automobili, che le allontanano dagli altri e le rendono più aggressive. Non è la ‘società liquida’ di cui parla Bauman. Questa è la ‘società rotonda’. O forse: rotatoria.”
Benvenuti nella “società rotatoria”! Benvenuti nel mondo in cui è morto ogni “bene comune”, dove la stagnazione demografica dura ormai da decenni e negli ultimi anni l’economia non marcia troppo bene. Dove perfino il paesaggio è mutato sotto i nostri occhi in tempi tanto rapidi e in modo tanto profondo che non ce ne siamo nemmeno accorti. È la società che dovrebbe fare corpo contro la crisi, e che invece mostra sempre più evidenti i segni di legami personali e territoriali ogni giorno più deboli. Con ironia, leggerezza e profondità, Ilvo Diamanti la racconta attraverso le voci del suo originalissimo sillabario del tempo presente: una galleria di istantanee, riflessioni, epifanie, che meglio di qualsiasi trattato sociologico fissano sulla pagina i tic, i riti, le piccole e grandi follie della nostra vita quotidiana, individuale e collettiva.

sabato 2 gennaio 2010

Galimberti sull'aggressione a Berlusconi

"Se una leadership, se un potere si regge sulle basi emotive, è molto molto pericoloso. Abbiamo già oltrepassato la linea di demarcazione della democrazia. La democrazia funziona per argomenti. Prima ci sono i fascini, ci sono i carismi, ci sono i plagi, ci sono le adorazioni. Quindi c'è anche l'odio".