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mentono sapendo di mentine

sabato 19 giugno 2010

"Dio è il silenzio dell'universo, e l'uomo è il grido che da senso a questo silenzio"


"Acho que na sociedade actual nos falta filosofia. Filosofia como espaço, lugar, método de refexão, que pode não ter um objectivo determinado, como a ciência, que avança para satisfazer objectivos. Falta-nos reflexão, pensar, precisamos do trabalho de pensar, e parece-me que, sem ideias, nao vamos a parte nenhuma".

"Penso che la società di oggi abbia bisogno di filosofia. Filosofia come spazio, luogo, metodo di riflessione, che può anche non avere un obiettivo concreto, come la scienza, che avanza per raggiungere nuovi obiettivi. Ci manca riflessione, abbiamo bisogno del lavoro di pensare, e mi sembra che, senza idee, non andiamo da nessuna parte"

giovedì 17 giugno 2010

Sandokan pentiti, il tuo potere è finito di ROBERTO SAVIANO

ORA che ti hanno arrestato anche il primo figlio, è giunto il tempo di collaborare con la giustizia, Francesco Schiavone. Sandokan ti chiama ormai la stampa, Cicciò o' barbone i paesani, Schiavone Francesco di Nicola, ti presentano i tuoi avvocati. E Nicola, come tuo padre, hai chiamato tuo figlio a cui hai dato lo stesso destino. Destino di killer. Accusato di aver ucciso tre persone, tre affiliati che avevano deciso di passare con l'altra famiglia, con i Bidognetti. Nessuno si sente sicuro nella tua famiglia, il tuo gruppo ormai non dà sicurezza. Non ti resta che pentirti. Questa mia lettera si apre così, non può iniziare diversamente, non può cominciare con un "caro". Perché caro non mi sei per nulla. Neanche riesco a porgertelo per formale cortesia, perché la cortesia rischia già di divenire una concessione che va oltre la forma. Scrivendo non userò né il "voi" che considereresti doveroso e di rispetto, né il "lei". Chi usa il "lei", lo so bene, per voi camorristi si difende dietro una forma perché non ha sostanza. Allora userò il tu, perché è soltanto a tu per tu che posso parlarti.

Sei in galera da più di dieci anni. Prima ti eri rinchiuso a Casal di Principe in una casa bunker sotterranea. È lì che ti hanno scovato e arrestato. Oggi hanno catturato tuo figlio in un buco analogo, solo più piccolo: stesso luogo, stessi arredi, simboli di un potere sterile - il televisore a cristalli liquidi - , divenuti più dozzinali con il trascorrere degli anni.

Persino stessa passione per la pittura. Cos'hai pensato quando hai saputo che l'hanno stanato, quando ti hanno riferito che a guidare il blitz identico a quello che ha portato alla tua cattura c'era lo stesso uomo, Guido Longo, allora capo della Dia napoletana, oggi questore di Caserta? Cosa hai pensato quando hai visto l'antimafia di Napoli diretta dal Pm Cafiero de Raho combattere ancora lì, non indebolita nonostante le mille difficoltà? Che sensazione ti ha generato scoprire che "Nic'ò barbone" si è arreso con il tuo stesso gesto, l'identico modo di alzare le mani, quasi si trattasse di un tuo clone, non di tuo figlio? Cosa provi ora che la moglie di Nicola subirà le stesse pene che ha subito tua moglie? I tuoi nipoti vivranno come i tuoi figli senza padre, con i soldi mensili versati da qualche tuo vicario e il destino da camorrista già scritto perché intorno tutti vogliono così, perché tu vuoi così. Cosa provi? È a questo che è valsa la tua scalata alla testa dell'organizzazione, con tutti gli ordini di morte che hai impartito, con tutti gli uomini un tempo tuoi sodali che hai ucciso addirittura letteralmente con le tue stesse mani?
Ogni tuo amico ti è divenuto nemico, hai fatto ammazzare Vincenzo De Falco con cui eri cresciuto, hai fatto ammazzare i parenti di Antonio Bardellino, l'uomo che ti aveva dato fiducia, potere e persino amicizia. Vi tradite l'un l'altro e sapete dal primo momento che questo accadrà anche a voi stessi. Perché questa è la vostra vita, uccidere i vostri più cari amici, distruggere coloro con cui siete cresciuti per non essere distrutti. E sarete distrutti da coloro che oggi vi sono amici, che oggi stanno crescendo nei vostri affari. Come ti sei sentito Francesco Schiavone Sandokan quando in una relazione che hai fatto consegnare ai tuoi legali affermi di vedere fantasmi che ti vengono a trovare nella tua cella? Come ti senti quando piangi, quando ti senti impazzire, quando fai il finto pazzo pur di uscire dalla galera? Quando vieni a sapere che l'altro tuo figlio, Emanuele, è stato arrestato come un qualunque tossico che vende hashish per avere soldi? Lui figlio del capo dell'impero del cemento che si fa beccare come un tossico qualsiasi? Quando il tuo ordine era quello di non far spacciare in paese e invece tuo figlio finisce per farlo a Rimini, come ti senti? L'unica speranza che hai è quella di pentirti, non devi continuare a indossare la maschera della tigre feroce, mentre sei diventato un gatto rinchiuso e castrato.

Castrato come Francesco Bidognetti, tuo alleato e allo stesso tempo rivale, ormai sull'orlo del pentimento, che deve per forza mantenere la pace con uomini che gli hanno ucciso parenti e alleati. Che deve vedere le sue donne tradirlo una alla volta. Un uomo che del comando ormai conserva soltanto il ricordo. Oggi ha difficoltà a mantenere il suo gruppo, i sequestri di beni e gli arresti lo stanno divorando. Eppure i tuoi uomini, quelli che tuo figlio avrebbe ucciso, erano disposti a passare con lui pur di non stare sotto il comando del tuo erede. Hai sempre saputo quale fosse il tuo destino. Fatturate miliardi di euro all'anno, il patrimonio del tuo clan è simile a quello di una manovra finanziaria, ma il vostro non è un destino da uomini. È solo un destino da criminali, coloro che si credono re e si ritrovano prigionieri. Con il wc accanto al tavolo dove mangiate, con un secondino che vi ispeziona, con i vostri figli che hanno vergogna di dire chi siete, e un vetro che vi impedisce di toccare finanche le mani delle vostre mogli.

Come sopporti questa ripetizione di un copione che tu stesso hai scritto sulla pelle della tua discendenza, che a sua volta doveva inciderla nella carne altrui? Sei fiero che il tuo primogenito rischi di finire i suoi giorni in carcere? Costretti a vivere come topi. Per mesi, anni. Condannati, già prima di ogni sentenza, a nascondervi, a mentire, a camuffarvi, a pagare uomini dello Stato per aiutarvi, a comprare politici per difendervi, a mercanteggiare promesse e favori in cambio di protezione e sotterfugi. Ma anche a costringere dei poveri vostri compaesani ad accogliervi sotto minacce, mentre alle vostre famiglie tocca farsi svegliare dalla polizia nel cuore della notte o farsi pedinare per giorni e giorni. È questa la sostanza del vostro impero. Hai avuto e hai ancora molti politici in pugno, condizioni gli appalti di molta parte di questo Paese. Proprio perché stai in galera e porti il peso del tuo potere, ti consideri migliore rispetto a imprenditori e parlamentari vicini che valuti codardi. Eppure di questa superiorità cosa ti rimane? Loro stanno fuori e tu sei dentro. Perché continua a difenderli il tuo silenzio? Cosa mai potrà compensare il tuo ergastolo e la distruzione continua della tua famiglia? Non lo vedi? Francesco Schiavone, che cos'hai ottenuto? L'ergastolo e un futuro sepolto in galera. Non hai più alcuna speranza di uscirne fuori finché sei vivo. E allora, che cosa pensi, che ragioni ti dai della tua vita?

Credo, in realtà, di sapere a cosa stai pensando. Che adesso gli affari fuori sono buoni. La crisi economica aumenta il business del clan la tua galera passa in secondo piano. Pensi che hanno anche promulgato leggi favorevoli. La legge sulle intercettazioni sarà d'ora in avanti il vostro scudo, con questa legge non avrebbero mai potuto arrestare tuo figlio, la legge sul processo breve potrà tornarvi utile. Avete politici alleati nei posti chiave, e (se verrà confermato quanto dichiarano le accuse dell'antimafia di Napoli) il sottosegretario allo sviluppo Nicola Cosentino è in diretto rapporto con la tua famiglia. Non perché tuo parente ma perché in affari con te. Quindi pensi di avere un ministero importante dove passano soldi e favori nelle tue mani.

Ma tu sei e rimani in galera però. Ricordi quello che ha detto Domenico Bidognetti su Nicola Ferraro quando si è pentito? L'ha accusato non perché anche Nicola Ferraro sia tuo parente, ma per gli affari che fa con te e tramite te. Ricordi? Dovresti saperlo. Lui ha dichiarato che "Nicola Ferraro prelevava i rifiuti speciali delle officine meccaniche, anzi fingeva di prelevare i rifiuti ma in realtà faceva delle false certificazioni e venivano smaltiti illegalmente". Lui leader casertano dell'Udeur molto legato a Clemente Mastella è stato arrestato nella retata che azzerò il partito. "Era un imprenditore molto vicino al clan dei casalesi. Prima era più vicino alla famiglia Schiavone, poi deve essersi avvicinato a Antonio Iovine". E poi - continua Domenico Bidognetti che conosci bene e tu stesso l'hai in qualche modo allevato - "a testimonianza dei buoni rapporti fra il Ferraro ed il clan, un anno fa Cicciariello (Francesco Schiavone, cugino omonimo di Sandokan n. d. r.) mi disse che voleva mandare a dire a Ferraro di intercedere presso il suo 'comparè Clemente Mastella Ministro della Giustizia, per fare revocare, un po' per volta, i 41 bis applicati a noi casalesi. Non so dire se poi Cicciariello attuò questo proposito".

Ecco prima o poi, supponi, qualche politico amico attenuerà la tua pena e tornerai come quando eri giovane a vivere in carcere come in un hotel. Se non toccherà a te stesso, magari a Nicola, tuo figlio. Ti è stato consentito di incontrare un boss di Cosa Nostra, Giuseppe Graviano, mandante dell'uccisione di Don Puglisi, responsabile della morte di Falcone e Borsellino e delle stragi che nel '93 colpirono Firenze, Milano e Roma. Chissà cosa vi siete detti nei vostri colloqui durante l'ora d'aria al carcere di Opera, dove entrambi scontate il regime del 41 bis? Avete stretto alleanze, avete escogitato nuove strategie? Avete messo a punto degli strumenti per rivalervi su coloro che vi hanno punito, nel caso non fossero disposti a venire a patti? Avete vagheggiato di avere in mano, pur dal cortile di un carcere di massima sicurezza, il destino dell'Italia? Pensate che il vostro silenzio o una vostra mezza parola possa delegittimare i vertici del potere politico? Mettergli paura? Ingenuità, Schiavone. Non ti rendi conto che siete divenuti burattini pensando di essere burattinai. Ma non vedi quello che sta accadendo?

Ciclicamente appoggiate politici che vi fanno promesse, vi usano per ottenere ciò che gli torna utile, vi scaricano quando non servite più, quando intravedono delle alternative. Perché in questo Paese in cui il potere è sempre in mano a pochi e soliti, i soli di cui è certo che verranno prima o poi rimpiazzati da qualche rivale emergente siete voi.
La camorra è potente ma la sua forza si basa sul fatto che i camorristi continuamente cambiano, sono interscambiabili. I cimiteri sono pieni di camorristi indispensabili. Non stai vedendo che stanno eliminando il tuo gruppo? E quello di Bidognetti? E i fedeli Iovine e Zagaria? I due latitanti? Ancora liberi. Liberi di fare affari, di dirigerli. I tuoi reggenti diventati re nei fatti, perché non esiste nessuna incoronazione, mentre le detronizzazioni, quelle esistono, e prima o poi vengono scritte con il sangue, se non quello del sovrano decaduto, almeno quello dei suoi ultimi fedeli. È questo ciò che ti attende e lo sai. Loro ti tradiranno (se non lo stanno già facendo) proprio come tu hai tradito Antonio Bardellino e Mario Iovine.

Quattro anni fa feci un invito nella piazza di Casal di Principe. Lo feci alle persone, soprattutto ai ragazzi che erano lì presenti. Li invitai a cacciarvi dai nostri paesi, a disconoscervi la cittadinanza, a togliere il saluto alle vostre famiglie. "Michele Zagaria, Antonio Iovine, Francesco Schiavone, non valete niente". Urlai con lo stomaco e con la volontà di dimostrare che si potevano fare i vostri nomi, in quella piazza. Che non succede proprio nulla se si fanno. Che non sono impronunciabili, neanche quando si chiede non a una, due, o cinque persone, ma a molte, moltissime, di denunciarvi, di spingervi ad andarvene da Casal di Principe, San Cipriano d'Aversa, Casapesenna. A liberare queste terre. Tuo padre mi ha definito un buffone, non è l'unico a pensarla così. Tu stesso hai fatto scrivere dai tuoi avvocati che racconto menzogne. Sulle pareti di Casal di Principe mai è apparso un insulto a te, neanche dopo la strage di Casapesenna che avevi ordinato. Invece decine e decine le scritte contro di me, e appena si pronuncia il mio nome, i giovani delle mie zone mi riempiono di insulti. E quando vedono i tuoi figli, cosa fanno? Che cosa rappresentano questi ragazzi senza madre, senza padre, con gli occhi delle polizie sempre puntati addosso? Ti credi un uomo a far vivere così i tuoi figli? Tua moglie in prigione, i figli mollati ai parenti. È da uomo di onore, questo? Da uomo di rispetto?

Non è un uomo una persona che fa vivere così la propria famiglia. Questo lo sai nel profondo di te stesso. Una vecchia espressione napoletana identifica con un'espressione molto efficace un potere fatto solo di sbruffoneria: "guappi di cartone". Voi la usate per definire un uomo che parla e poi non agisce e ha paura. Io la uso per mostrare quanto sia codardo il vostro potere di morte, corrotto il vostro business, e che il vostro silenzio difende tutti quei colletti bianchi, imprenditori, editori, commercialisti, onorevoli, ingegneri che lavorando per voi pensando soltanto di lavorare per delle imprese di cui non vogliono conoscere l'origine. Guappo di cartone sei perché ordini esecuzioni di persone disarmate, fai sparare alle spalle a innocenti. Guappo di cartone perché temi ogni mossa che possa compromettere le tue entrate di danaro, perché sei disposto a perdere faccia e dignità per un versamento in euro. Guappo di cartone che costringi al silenzio della paura tutti i tuoi paesani se vogliono lavorare nelle tue imprese. Guappo di cartone perché non fai crescere nessuna impresa che con te e con i tuoi non faccia affari. Guappo di cartone perché avveleni la terra dove i tuoi avi avevano piantato le pesche, i meli, e ora la terra avvelenata non produce nulla se non cancro.

Può sembrarti assurdo ma siccome nessuno te lo chiede, te lo ripeto io un'altra volta. Collabora con la giustizia. Prima che tutti i tuoi figli finiscano in galera o ammazzati. Prima che le tue figlie siano costrette a matrimoni combinati per farti ancora contare qualcosa, prima che i tuoi nipoti debbano tutti legarsi attraverso matrimoni agli imprenditori locali per cercare di controllarli, sempre, ovunque, in ogni momento. Invita a pentirsi anche tuo fratello Walter. Fuori dal carcere si sentiva il protagonista di Scarface. Non c'era assessore, sindaco, segretario di partito o imprenditore che non volesse fare patti e affari con lui. E ora? Ora in galera lo divora una malattia, ha perso un figlio, è divenuto uno scheletro che cammina e implora ai giudici clemenza, lui che non l'ha mai data alla sua terra e ai suoi nemici. Per cosa taci ancora? Pensi che ti renda onore tutto questo? Pensi che ti rispettino coloro che il tuo silenzio difende? Tutti coloro che avete reso potenti, sensali con la coscienza pulita perché non sparavano, ma costruivano, smaltivano, votavano, governavano. Tutti questi non sono lì con voi. E andranno con chi comanda. Ieri eravate voi oggi sono altri, e domani altri ancora. Loro saranno amici di chi conta. Come sempre. E voi morirete in carcere.

Tu cosa vuoi, Francesco Schiavone? La tua morte? Rimpiangi di non essere finito ammazzato? Come tuo nipote Mario Schiavone "Menelik"? Facesti uccidere per vendicare la sua morte un carabiniere innocente Salvatore Nuvoletta, aveva vent'anni quando il clan dei casalesi chiese la sua testa, non fu lui ad uccidere in un conflitto a fuoco tuo nipote. E l'hai fatto ammazzare lo stesso. Tu e i tuoi uomini. Uccidendolo mentre era disarmato, mentre giocava con un bambino. Questo è onore?

Io sono cresciuto in terra di camorra e so come ragioni. Consideri smidollato chi ha paura di morire, chi ha paura del carcere. Sai che se vuoi davvero comandare sulla vita delle persone, devi pagarlo questo potere. Tu e i tuoi amici vincete perché sapete sacrificarvi mentre i politici e gli imprenditori di questo paese non sanno farlo. Quante volte ho sentito pronunciare queste parole dai miei conterranei. Ma non per tutti è così.

Prima o poi vi schiacceranno. Prima o poi tutti i vostri affari, il vostro cemento, i vostri voti, i vostri rifiuti tossici, tutto questo sarà destinato a finire. Non è la volontà che muta il destino delle cose, e tu, Schiavone, non sei che l'ennesimo di una catena infinita. Ma forse potresti fare un gesto, una scelta che compensi almeno in parte tutto quanto hai fatto. Mostra tutto. Sollevati dal tuo potere, dal potere dei tuoi affari, sottosegretari, sindaci, presidenti di provincia, sollevati dai veleni, dai morti, dalle dannate famiglie che credono di disporre di cose, persone, e animali come sovrani. Collabora con la giustizia, Schiavone. Invita a consegnarsi Antonio Iovine e Michele Zagaria. Sarebbe un gesto che ridarebbe a te e ai tuoi dignità di uomini. Provate ad essere uomini e non utili bestie feroci da business e accordi. Collabora con la giustizia, mostra che sei ancora un essere umano e non solo un agglomerato di cellule capace solo con rancore e avidità di strisciare di covo in covo, o di cella in cella.

martedì 15 giugno 2010

Bloody Sunday

mea culpa di Cameron "Fu ingiusto e ingiustificato"

Presentato il rapporto della Commissione indipendente sulla strage di manifestanti cattolici a Derry nel 1972 ad opera dei parà britannici. Il premier: "Conclusioni inequivocabili: è stato sbagliato". I familiari manifestano

LONDRA - "Ingiusto e ingiustificato". David Cameron riconosce, con parole inimmaginabili solo pochi anni fa per un premier britannico, le responsabilità del suo Paese in uno dei capitoli più sanguinosi dei trent'anni di guerra civile in Irlanda del nord: la Bloody Sunday. Oggi verrà reso noto il rapporto della commissione d'inchiesta sui tragici eventi della domenica di sangue del 1972, in cui 14 manifestanti cattolici vennero trucidati dai parà inglesi a Derry. Cameron l'ha letto e ne ha tratto una conclusione netta: "Sono patriottico e non voglio mai credere a niente di cattivo sul nostro Paese, ma le conclusioni di questo rapporto sono prive di equivoci: ciò che è successo il giorno di Bloody Sunday è stato ingiusto e ingiustificabile. E' stato sbagliato", ha detto il primo ministro conservatore presentando il rapporto di Lord Saville of Newdigate.
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Ci sono voluti 12 anni di lavoro e 195 milioni di sterline di spesa, migliaia di audizioni per ricostruire in cinquemila pagine quel che accadde il 30 gennaio di 38 anni fa nella città nordirlandese, Londonderry per la Gran Bretagna, Derry per i repubblicani nordirlandesi, roccaforte del movimento indipendentista repubblicano.
Il rapporto accusa esplicitamente alcuni dei militari di aver ucciso illegalmente i civili, aprendo la porta a processi, 38 anni dopo quei fatti. Le vittime, ha detto Cameron citando il rapporto, "non erano armate". Furono sparati colpi da paramilitari repubblicani, ma questo "non giustificò l'uccisione di civili". Una prima inchiesta, chiusa frettolosamente dopo la strage, concluse che i parà avevano sparato sulla folla per legittima difesa dopo che i manifestanti gli avevano sparato contro. Una falsità oggi smascherata ufficialmente.

Cameron ha compiuto certo un atto di coraggio nel mea culpa per l'uccisione indiscriminata dei manifestanti che quel giorno erano scesi in piazza per difendere i diritti civili violati della comunità cattolica nelle sei contee dell'Ulster. Ma non ha certo rinnegato la politica britannica nell'isola irlandese. Il "Bloddy Sunday" non è ciò
che definisce la presenza delle forze britanniche nell'Irlanda del Nord fra il 1969 e il 2007, ha detto il premier. Cameron ha tuttavia ammesso che "alcuni errori sono stati fatti", e che "non vi sono giustificazioni per l'uso della forza da parte dei soldati", ma difeso l'"impegno e il coraggio" dei militari britannici nell'Ulster. La verità, ha detto, "per quanto dolorosa, non ci rende più deboli, ma più forti, questo è quello che ci distingue dai terroristi". Quello che è accaduto nel Bloody Sunday ha rafforzato l'Ira ed esacerbato il conflitto, ha ammesso. "L'Irlanda del Nord è stata trasformata negli ultimi vent'anni, proseguiamo questo lavoro di cambiamento, insieme con tutti i nordirlandesi", ha quindi affermato Cameron.

Per Derry la ferita è ancora aperta. Amici, parenti, politici e sostenitori hanno sfilato oggi per le strade di Derry, dove il rapporto è stato presentato nel palazzo della Guildhall (sede del consiglio comunale) da Lord Saville, che fu incaricato dell'inchiesta dall'allora premier Tony Blair. Ognuno di loro, entrando nell'edificio dove è stato dato loro il rapporto in anteprima, ha alzato un cartello con la foto di una delle vittime, tra gli applausi dei presenti.

Kay Duddy, il cui fratello Jackie fu il primo a essere ucciso, ha detto: "Abbiamo aspettato così tanto, e ora siamo qui, ho un nodo allo stomaco. Così tante volte abbiamo pensato di essere vicini alla verità, e pensare che ora lo vedremo nero su bianco. Spero di riuscire ad arrivare alla fine di questa giornata". Nella borsa portava un fazzoletto con la scritta 'Padre Edward Daly', lo stesso che quel prete usò per tentare di fermare il sangue che usciva dalle ferite del fratello colpito a morte. L'immagine di padre Daly è rimasta l'icona di quella domenica.

dal sito di Repubblica

lunedì 14 giugno 2010



"Agonia della notte" è il secondo romanzo del ciclo narrativo intitolato "I sotterranei della libertà", dopo "Tempi difficili". In questa trilogia Amado tenta una ricostruzione della storia politica del suo Paese descrivendo il periodo di dittatura di Vargas, il cosiddetto Estado Novo. E per fare ciò utilizza le sue capacità di narratore e di "cantastorie", mescolando vicende e personaggi di tutti gli strati sociali, intrecciando storie vere e inventate, sapidi fondali tropicali e squallidi panorami metropolitani.

mercoledì 9 giugno 2010

Giorgio Bocca in Calabria "dove umiliano gli onesti"


30 anni dopo la morte di un militante del Pci a Rosarno, due scrittori ne rifanno la storia. E intervistano il grande giornalista: "Perché quando in Italia si fa un passo in avanti, qui se ne fanno due indietro?"
di DANILO CHIRICO E ALESSIO MAGRO

dal sito di Repubblica
Giuseppe Valarioti era un insegnante precario, viveva a Rosarno, il paese della piana di Gioia Tauro tornato tristemente in prima pagina nell'inverno scorso. Fu ucciso a 30 anni nella notte fra il 10 e l'11 giugno del 1980, Aveva appena finito di festeggiare la vittoria del Pci alle elezioni. Fu il primo omicidio politico di 'ndrangheta. 30 anni dopo, i giornalisti Danilo Chirico ed Alessio Magro hanno scritto "Il caso Valarioti, così la 'ndrangheta uccise un politico onesto e diventò padrona della Calabria", 15 euro, Round Robin Editrice. 1

Pubblichiamo qui l'intervista a Giorgio Bocca contenuta nel libro.
Racconta Giorgio Bocca che la prima cosa che diceva appena arrivato in un nuovo giornale era "partiamo", facciamo un viaggio al sud. "Era per la mia curiosità", dice. Aveva capito "che lì c'era una miniera di notizie". La curiosità, appunto. La cosa che più di ogni altra fa grande un giornalista.

Di reportage al sud Giorgio Bocca è un vero esperto. "Ne avrò fatti venti di viaggi al sud", dice. Tutti i giornali ("A parte la Gazzetta del Popolo", precisa) lo hanno "mandato giù, sin dagli anni Cinquanta: all'Europeo uno dei primi servizi era su un giovanotto che aveva rapito una ragazza per sposarla. Veniva fuori -sottolinea- questo strano mondo in cui vigevano regole di un gioco barbaro". Da allora ha sempre continuato a fare il suo lavoro di giornalista "ponendomi la stessa domanda: perché quando in Italia si fa un passo avanti, qui se ne fanno due indietro?". Non ha una risposta, neppure oggi. È sincero invece il suo "stupore" dovuto al fatto che "nel corso degli anni non c'è mai stata una vera differenza". Nessun miglioramento vero, "forse per alcune cose è sempre peggio". Un atto d'accusa pesante.

Tra le tante inchieste sul sud, una viene spesso ricordata. Per la capacità di guardare nelle cose, perché è figlia di un viaggio lungo e pieno di storie incredibili, per l'analisi spietata e cruda dei fatti. Perché è finita in un fortunatissimo libro del 1992: "L'inferno-Profondo Sud, male oscuro".

Scrive Bocca: "Visto dall'alto, l'inferno degli italiani è bellissimo". E dice già molte cose, nel profondo. Nel capitolo dedicato alla Calabria ("Aspra Calabria") racconta della Locride e dei sequestri di persona (e gli viene in mente il Vietnam), di Corrado Alvaro e San Luca, di medici legali e sbirri, di 'ndranghetisti e avvocati. Racconta del suo incontro con il senatore poeta Emilio Argiroffi e delle imprese del ras della Dc di Taurianova Ciccio Mazzetta, della cosca Piromalli e del sequestro di Paul Getty jr, del giudice Cordova e dell'omicidio dell'ex presidente delle Ferrovie dello Stato Vico Ligato ("era un ladro"), delle leggende e dei segni della Magna Grecia, dello storico Gaetano Cingari ("era molto bravo, ricordo una sera a cena a casa sua che si vedeva il mare") e di Giacomo Mancini ("un politico che mi piaceva perché era un uomo coraggioso e deciso, nella politica contava"). Racconta anche di Rosarno, della morte di Peppe Valarioti e della battaglia di Peppino Lavorato.
Dell'inferno del sud, della Calabria, Bocca ascolta i suoni e respira gli odori, attraversa le viscere. E non può non chiedersi ancora oggi, a distanza di quasi vent'anni, "per quale peccato originale, per quali orgogli, per quale maledizione della storia, per quale fatalità geografica noi italiani del nord e del sud non riusciamo a fare di questo Paese un paese unito?".

Di questo siamo andati a discutere con Giorgio Bocca quando abbiamo deciso di scrivere questo libro. La sua casa di Milano sta in centro, a due passi dal Cenacolo di Leonardo. Ci riceve nel suo studio, una stanza vissuta in maniera creativa, quasi fosse quella di un adolescente. Sta dietro la sua scrivania -enorme, piena di giornali- e risponde con calma e passione alle domande. Fa spesso riferimento al passato, alla memoria, alla storia.
Spiega: "Sono un po' prevenuto: mio nonno era un sergente savoiardo che dava la caccia ai briganti", ride fragorosamente. "Povero diavolo -aggiunge - non capiva cosa facevano". Poi il discorso di fa subito serio. Bocca riflette ad alta voce, cerca una soluzione. Parla del sud, ma si riferisce all'Italia di oggi. Che non gli piace, come sa bene chi legge la sua rubrica settimanale su L'Espresso. Che considera in pericolo, che quasi gli fa paura.

Si chiede spesso, ammette, "il perché nel meridione d'Italia ci sono mali così radicati", perché dalle nostre parti ci sono problemi che non si trovano in zone simili alle nostre: "Non li trovi né in Grecia, né in Spagna". Analizza: "Ogni volta che uno fa un'indagine trova i colpevoli: di solito si cerca una risposta politica, si parla del capitalismo, per esempio, magari della destra. Poi però a una riflessione un po' più profonda emerge chiaramente che la risposta è insufficiente: non si riesce mai a trovare un riparo definitivo, la vera peculiarità dei guai del meridione". La stampa non affronta i temi fino in fondo perché "è difficile e pericoloso affrontarle. I corrispondenti locali sono tutti condizionati e hanno paura che gli sparino. La letteratura s'è occupata tantissimo del sud, la questione meridionale è stata studiata molto, ma nessuno si è occupato di capire la ragione vera" di questo arretramento. In questa indeterminatezza, Giorgio Bocca ha una certezza: "La radice è storica. Ma non riesco a capire quale è, perché ci sia questa perseveranza nel male", perché in Italia "c'è il sud peggiore del Mediterraneo". È una domanda alla quale neppure "i meridionalisti danno una risposta".

Va a ritroso nei secoli, esclude che le colpe possano essere addebitate al periodo della Magna Grecia ? "il periodo aureo", lo definisce. "Ho visitato il museo di Reggio in uno dei rari periodi in cui era aperto. Certe cose erano davvero bellissime" -aggiunge- ha qualche dubbio sulla dominazione spagnola e rileva che "bisognerebbe studiare il periodo di occupazione degli arabi, che è stato importantissimo e secondo me ha avuto un effetto negativo".

Racconta di essere stato recentemente sulla costiera amalfitana e a Napoli: "L'immondizia lasciata per strada... è soltanto la camorra che vuole usare questa cosa per seppellire i rifiuti tossici o è anche la gente che se ne frega? È un mistero per me il perché questa città debba essere così autolesionista".

È lo stato d'animo di un uomo che ha combattuto per la libertà e che oggi avverte che l'Italia sta tornando indietro. Bocca non vuole sottrarsi alle analisi invocando un facile pessimismo, piuttosto partendo dal sud e dai suoi problemi vuole parlare di come sta oggi l'Italia. Pronuncia una frase che, pur nella sua semplicità, fa male come poche: "È triste venire al sud. È costante l'umiliazione degli onesti". Un pugno nello stomaco. Parla degli intellettuali meridionali che vivono una condizione "molto difficile", ma osserva che in fondo a causa di Berlusconi "stiamo sperimentando che anche al nord viviamo tutti in una società autoritaria e arretrata". Berlusconi è riuscito a "mettere in condizioni umilianti le persone. In questo senso le differenze tra nord e sud sono diminuite. La borghesia del nord bada solo ai soldi e ai furti: la mancanza di etica è comune a tutto il Paese". Ha giudizi tranchant sulla politica: Casini? "Fa ridere, è l'erede democristiano peggiore". La Lega? "È una conferma che gli italiani sono antidemocratici e arretrati". Aggiunge lui che per primo scoprì in Italia il fenomeno di Bossi e delle camicie verdi: "È un periodo in cui il razzismo è forte. Siamo al fascismo puro. Quando ho scelto il titolo della mia rubrica su L'Espresso, l'Antitaliano ? racconta ? avevo capito che gli italiani avevano una voglia matta di tornare al fascismo. Purtroppo non imparano mai". Insiste, fino allo sfinimento: "La libertà l'abbiamo consegnata a Berlusconi. Anche la Resistenza, anche il Risorgimento".
(...)

Parla anche di mafia, fuori dagli schemi: "Con il tempo mi sono fatto la convinzione che le mafie sono parte costituente della politica italiana, perché credo che ci sia la necessità che esistano. Organizzano in senso negativo questa anarchia italiana, il consenso, la voglia di anarchia, la disciplinano". Parole pesanti. E ancora: "Il mio governo è mafioso, non puoi chiedere al governo di fare una politica antimafia se è d'accordo con la mafia. Michele Greco ? sottolinea ? aveva una tenuta di caccia in cui andava a sparare fagiani anche il colonnello dei carabinieri. La moglie di Totò Riina ha partorito tre volte nell'ospedale di Palermo e il primario sapeva benissimo dove stava. Le mafie fanno parte costituente dello Stato italiano. Se non si capisce questo...".

Avrebbe "voglia di fare un altro viaggio al sud, ma alla mia età viaggiare diventa impossibile, nella vecchiaia ci sono limiti fisici con cui fare i conti". Spiega: "In quel viaggio in Calabria sull'Aspromonte ho camminato per delle ore e poi... avevo più coraggio. Quando si è giovani si crede di essere immortali. Oggi dei servizi così non sarei in grado di farli". Poi la lezione: "Il giornalismo? Guardare e raccontare. Se uno non è un cretino, la verità la vede subito. Non è difficile capire quello che succede. Si capisce benissimo dove comanda la mafia, dove i politici rubano". Di questo ci sarebbe bisogno

Rifkin-Petrini, dialogo sulla natura

martedì 8 giugno 2010

Battiato - Lindo Ferretti

Franco Battiato prende le canzoni dei PGR e le "disidrata": nasce "ConFusione", un particolarissimo best of. Con Franco Battiato, Giovanni Lindo Ferretti, Giorgio Canali (chitarrista Pgr), Luca Valtorta (direttore XL). Conduce Francesco Fasiolo

lunedì 7 giugno 2010

Buon compleanno


Incontro con il cantautore che il prossimo 14 giugno festeggia il compleanno. "Già a 50 anni mi resi conto che mi restava da vivere meno di quanto avevo vissuto"
PAVANA - Arrivare a Pavana, la leggendaria, il luogo prescelto da Francesco Guccini per il suo buen retiro, da almeno dieci anni, è come attraversare una selva di profili scoscesi e strade morbidamente tortuose. Da lì, Guccini torreggia, settant'anni portati con orgoglio da montanaro. "Ma attenzione, non li ho mica ancora compiuti" borbotta col suo burbero sorriso, "manca ancora qualche giorno al 14 giugno". Nell'ingresso della casa un grande tavolo contiene di tutto, vecchi fumetti, fogli sparsi, libri, riviste. Dalla cucina, di sapore antico, si vede una verdissima valle che degrada con dolcezza: "In fondo questa è la vera differenza tra me e la maggior parte degli altri cantautori" spiega, "De André, che era mio coetaneo, veniva dalla buona borghesia genovese, gli altri comunque da un ambiente cittadino, urbano, io vengo da qui, dalla campagna, dalla montagnaA proposito di De André. Eravate legati?
"Sì, avevamo anche progettato di fare qualcosa insieme, magari un tour, lui voleva, anche se un po' si scherniva, diceva: ma no tu parli tanto nei concerti, io per niente, ma l'avremmo fatto, avevamo voglia. Poi i manager che per natura sono sempre più sospettosi, si misero di traverso. Io Fabrizio l'avevo conosciuto, a Bologna, nel 1967, avevamo amici comuni, mi ricordo che io gli cantai Per quando è tardi. Lui invece un po' si vergognava, poi cantò molto. Da allora ci siamo sempre sentiti, da qualche parte ho mille lire con la sua firma perché ho vinto una partita di scopa testa a testa. Lui era più legato ai francesi, a Brassens, io più a Dylan. Il primo disco, Freewheelin, me lo passò uno dell'Equipe 84, ma io all'inizio non ero così interessato a scrivere, non ero neanche iscritto alla Siae. Il primo disco non lo firmai neanche, i pezzi erano firmati "Pontiak-Verona", Auschwitz era firmata "Lunero-Vandelli", ma erano tutte mie. Poi le abbiamo corrette, ma non tanto tempo fa".

I settant'anni arrivano come una campana dolente. Ci si sente più soli, nel senso che molti amici non ci sono più?
"Per forza. Da poco è scomparso Renzo Fantini, mio grande amico, è stato da sempre il mio manager, era carismatico, e poi era onesto, in un ambiente che diciamo pure non brilla per questa qualità. Lui fu folgorato come Saulo sulla via di Damasco. All'epoca lavorava con Nilla Pizzi, Sandro Giacobbe, e per caso Victor Sogliani, dell'Equipe 84, era il 1975, mi disse 'ma tu ce l'hai un manager?'. Io no, non ce l'avevo, ma non facevo concerti. Venne Renzo con Bibi Ballandi, da lì decise di lavorare solo con i cantautori, si separò da Ballandi, e così cominciò la storia. E comunque già a cinquant'anni mi resi conto tragicamente che gli anni che mi restavano da vivere erano meno di quelli avevo già vissuto, figurarsi ora. Ma non ci penso tanto, solo quando sento dei limiti. L'altro giorno sono andato al mulino, era la casa dei miei nonni dove abitavo da piccolo, c'è una mulattiera che scende giù, guardavo i sassi, attento a non inciampare. C'è il fiume, una volta lo passavo saltando di sasso in sasso, ora certo no. C'è anche il lago, d'estate si stava là, lo attraversavo tutto e tornavo indietro, ora faccio sì e no cinque metri, ma ancora mi tuffo, anche se l'acqua è gelida. Però notavo una cosa, da giovane facevo i concerti seduto, ora li faccio in piedi, sono proprio un coglione..."

E perché da seduto, un tempo?
"Perché ero abituato a non fare concerti veri e propri, ho cominciato a suonare in pubblico all'osteria delle Dame, quindi stavo seduto, poi arrivò Flaco, eravamo solo in due, e stavamo seduti".

Vecchioni ha scritto che la sostanza delle sue canzoni è il dubbio.
"Non sempre, ma è vero che nelle mie canzoni ci sono molte domande, ma non in tutte, vedi La locomotiva. Poi sì, in canzoni come Il pensionato, e Shomér Ma Mi Lailah, un inno al dubbio. Di certo ora so solo che non sono più giovane. Ho delle canzoni nuove, una è l'ennesima Canzone di notte, la numero 4, credo, e lì un po' parlo dell'età. L'anno scorso feci un concerto a Montalcino, il 13 giugno, la sera dopo festeggiammo, presi la parola per un brindisi, dissi: 'A una persona nata il 14 giugno che nessuno dimenticherà...'. Tutti pensavano che parlassi di me, e invece conclusi: 'a Che Guevara, che è nato il mio stesso giorno'".

Dopo 45 anni è cambiata la sua visione della musica?
"No, io la vedo ancora così la canzone: un signore che si mette lì, ha delle idee per la testa e vuole manifestarle. Poi per carità ci sono prodotti artigianali ottimi, ma io parlo delle canzoni dei cantautori. Oggi sento molte canzoni, non dico brutte, ma inutili, che forse è peggio. Tempo fa dissi dei talent che in mancanza di altro poteva essere un'occasione per emergere, e tutti a dire: 'ecco Guccini apprezza questi programmi'. Mica vero, le case discografiche sono in crisi, ma pensa che io il primo disco Folk beat n.1, l'ho fatto nel 1966, ma il primo di un certo successo è stato Radici del 1972 e in mezzo ci sono stati altri tre long playing. Ora sembra essere tornati agli anni Cinquanta, c'erano belle voci, ma i testi a volte erano ridicoli, ora c'è più abilità, arrivano più preparati, ma non c'è niente dentro. Paoli anche quando cantava Il cielo in una stanza si sentiva che c'era qualcosa dietro, anche se era una canzone d'amore, De Andrè fece delle altre cose, ironiche, serie, io cantavo Auschwitz....

Ricorda quando l'ha incisa?
"Certo. C'erano ancora i tecnici col camice bianco, venne fuori questo signore anziano, o almeno mi sembrava allora, avrà avuto neanche 50 anni, mi disse: 'senta ma è lei che ha fatto questa canzone? Bene le do un consiglio, se vuole continuare a fare questo mestiere, allora cambi genere che con questa roba andrà poco lontano'". da Repubblica .it

venerdì 4 giugno 2010