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mentono sapendo di mentine

mercoledì 10 agosto 2011

il salto tra la vita e la morte

Michele Smargiassi commenta la fotografia simbolo dei ''giorni di Londra'': una donna immortalata mentre salta da un edificio incendiato durante le rivolte che hanno devastato la capitale britannica. L'occasione per ripercorrere gli istanti in cui i fotografi, come la londinese Amy Weston, riescono a cogliere l'attimo in cui una scelta decide un destino, individuale o collettivo. (da Republica.it)

lunedì 8 agosto 2011

L'arte della fotografia nella Mosca dell'800


Mosca - Un bosco di betulle nella nebbia o una ragazza nuda tra i vapori di un bagno caldo possono avere mille sfumature di bianchi e di grigi, ed evocare emozioni come i quadri di certi impressionisti. Stampate su complesse gelatine d'argento a metà dell'Ottocento nella Russia degli Zar quelle immagini ripropongono ancora il dibattito che accese lo spirito polemico di Baudelaire e finì per coinvolgere una maestro della pittura come Manet: la fotografia è degna di essere chiamata arte? Finalmente allineate alle pareti del Museo storico di fotografia di Mosca, dopo una ricerca durata anni negli archivi di tutto il mondo, le preziose stampe sembrano dire di sì.
La Russia di Nicola I e Alessandro II, che in quegli anni si apriva a timide prospettive liberali, non aveva dubbi. L'entusiasmo con cui la corte degli Zar accolse la nuova invenzione che veniva dalla Francia non ebbe riscontro in nessun altro paese. Già a metà del 1839, pochi mesi dopo il primo dagherrotipo prodotto a Parigi, entusiasti e danarosi signori inauguravano i primi atelier di fotografia con l'ammirato beneplacito dello Zar. Guarda le immagini Se in Occidente si dibatteva sull'impatto futuro dell'invenzione i russi avevano una posizione precisa: la fotografia è una tecnica sublime per ottenere effetti pittorici mai visti prima. E la mostra appena inaugurata, lo conferma. I ritratti di A. I. Trapani, i panorami di N. I. Bobir, il monumentale ciclo "Il Volga dalle sorgenti alla foce" di M. P. Dimitriev dominano la scena e raccontano di un'epoca in cui una Russia che aboliva la legge della gleba, si avvicinava al progresso con caotico entusiasmo. All'inizio del '900 gia venticinquemila macchine fotografiche venivano importate ogni anno dalla Francia e dagli Stati Uniti. Prima per i membri della famiglia reale, poi per molti professori universitari e infine anche per semplici cittadini e perfino qualche contadino da poco "liberato". E forse a proprio a questi si devono gli scatti più "sociali" e storicamente interessanti come quelli che mostrano il pavimento sterrato della Piazza Rossa, le povere feste di campagna, i rudimentali strumenti di caccia delle popolazioni della provincia profonda.

Un momento magico interrotto bruscamente. Già dopo l'assassinio di Alessandro II il ministero dell'interno impose a tutti i possessori di una macchina fotografica, una licenza, una tassa molto elevata e l'obbligo di "un registro numerato che possa essere consultato in caso di investigazioni criminali". Nacque così la Società Fotografica Russa fondata nel 1894 dove appassionati di tutte gli strati sociali si scambiavano consigli pratici, organizzavano mostre e concorsi come uno dai memorabili effetti, "La Mosca che sta scomparendo" che ci ha regalato testimonianze di una capitale russa riconoscibile solo tra le righe dei grandi romanzi storici. Pericolosa deriva che dopo la rivoluzione bolscevica diventò particolarmente scomoda. Nel 1920 i membri della società fotografica furono stroncati dai giornali di Partito per la loro "morbosa insistenza sul nudo", "la ricerca di sterili effetti pittorici", e soprattutto "l'incapacità di raccontare la formidabile evoluzione della società sovietica".

Era l'inizio di un boicottaggio che nel 1930 avrebbe portato alla chiusura della società e al veto di organizzare mostre e concorsi fotografici che non fossero approvati dalle strutture di governo. Le foto "d'arte" sparirono dagli archivi, furono prudentemente nascoste o addirittura spedite all'estero. Adesso, riunite temporaneamente in un solo museo, accolgono folle di giovani moscoviti entusiasti alla ricerca di un passato ancora troppo misterioso. Da Repubblica.it Guarda le immagini

giovedì 23 giugno 2011

Christiania resta libera gli hippie riscattano la città


La città dell'utopia di Copenaghen continuerà a vivere, libera e abitata. Gli hippie di Christiania sono riusciti a evitare che le autorità danesi la smantellassero, distruggendone l'utopia. Per riscattarla i suoi 700 abitanti hanno combattuto pacificamente 1 per otto anni, hanno negoziato con le autorità statali che volevano sfrattarli e a distanza di 40 anni dalla fondazione, hanno accettato il modello di accordo elaborato dal ministero della Difesa di Copenaghen. Da oggi potranno avere il diritto di usufrutto del quartiere occupato e autogestito (circa 35 ettari), a condizione che acquistino attraverso un fondo l'intero complesso residenziale per 76,2 milioni di corone danesi, l'equivalente di circa 10,2 milioni di euro. da Repubblica.it FOTO VIDEO Fondata nel 1971 in un campo di caserme abbandonate di fronte alla Sirenetta da un gruppo di hippie, Christiania oggi è salva. "Con l'accordo - ha detto il portavoce della città, Thomas Ertmann - possiamo continuare a essere una società alternativa e Christiania stessa di può rinnovare e sviluppare come un libero stato". L'accordo è stato raggiunto valutando l'insieme delle proprietà circa 3.500 corone (470 euro) a metro quadro, un valore molto al di sotto del prezzo di mercato. E' stato definito "bellissimo" dall'avvocato della comunità, Knud Foldshack, e ha avuto sostegno bipartisan in un Paese retto da un governo di centrodestra. Tanto da essere stato benedetto dal portavoce per le politiche finanziarie del partito conservatore, Mike Legarth: "Se gli abitanti di Christiania avessero dovuto pagare il prezzo pieno di mercato non avrebbero avuto alcuna possibilità".

Invece Christiania, che ha una propria valuta e propri costumi, leggi e regole autonome, dove la proprietà è collettiva, le auto quasi non circolano, così come la violenza, le armi e le droghe pesanti sono tenute fuori, dove le decisioni politiche vengono prese in sessioni plenarie o "incontri di zona", con le sue strade senza asfalto, e le bancarelle per le droghe leggere, è un sogno che può continuare a esistere e continuare a essere una delle mete preferite dell'intera capitale danese. Negli anni di negoziati e lotte per la sua chiusura, gli abitanti contrattaccarono con umorismo e perseveranza. Quando nel 2002 le autorità chiesero che il commercio di hashish venisse reso meno visibile, gli abitanti coprirono le bancarelle con teli mimetici. Dal 2004 il commercio della sostanza prosegue su base personale, come un modo per persuadere il governo a lasciare in vita Christiania. Il 19 maggio 2007, a 35 anni dalla sua nascita, la polizia distrusse uno dei primi edifici. Da oggi la lotta finisce, e l'utopia è stata valutata a un prezzo di dieci milioni di euro. Che, assicurano gli abitanti, "riusciremo a pagare". da Repubblica.it

ACCABADORA

Maria e Tzia Bonaria vivono come madre e figlia, ma la loro intesa ha il valore speciale delle cose che si sono scelte. La vecchia sarta ha visto Maria rubacchiare in un negozio, e siccome nessuno la guardava ha pensato di prenderla con sé, perché «le colpe, come le persone, iniziano a esistere se qualcuno se ne accorge». E adesso avrà molto da insegnare a quella bambina cocciuta e sola: come cucire le asole, come armarsi per le guerre che l'aspettano, come imparare l'umiltà di accogliere sia la vita sia la morte.
D'altra parte, «non c'è nessun vivo che arrivi al suo giorno senza aver avuto padri e madri a ogni angolo di strada».


giovedì 9 giugno 2011

BELLA GENTE D'APPENNINO



«All’origine di tutto ciò che posseggo c’è l’alfabeto. L’abbecedario su cui imparai a scrivere e leggere: A come albero, B come barca, C come casa, D come dono... dono e destino. Appena prima avevo imparato a tracciare, con mano sicura, gesti antichi: aste, croci, tondi, quadri. Segni e simboli. La parola scritta, la lettura sillabante, lo studio. Sapere e fare. Ricchezza del conversare. Non ho speso bene i miei giorni. Molti li ho sciupati, di molti sono stato spettatore. Troppi li ho macerati, estenuanti, in una sequela di tensioni senza soddisfazione; in guerra con tutto e con me stesso. Me ne sono liberato, a volte con fatica sempre con sollievo».

domenica 5 giugno 2011

Per 12 anni il regista Leonard Retel Helmrich ha seguito una famiglia indonesiana degli slums di Jakarta. Come nei pluripremiati capitoli precedenti di questa trilogia, THE EYE OF THE DAY e THE SHAPE OF THE MOON, Retel continua a raccontarci i sommovimenti profondi della società indonesiana attraverso le vicende della famiglia Sjamsuddin. Con uno sguardo intimo e partecipe, la quotidianità diviene il campo sul quale si misurano tutti i grandi temi dell'Indonesia contemporanea: la corruzione, il conflitto fra religioni, la piaga del gioco, il divario generazionale e la distanza sempre crescente fra ricchi e poveri. Premiato come miglior documentario nell'edizione 2011 del Sundance Film Festival di Robert Redford e al prestigioso festival del documentario IDFA di Amsterdam.

TAMBORO

Tamboro, che in lingua ingaricó significa «per tutti, senza alcuna distinzione», ultima opera del regista Sergio Bernardes morto durante la lavorazione del film, delinea un vero e proprio viaggio nella complessità della realtà brasiliana che affronta, grazie alle parole di intellettuali come Leonardo Boff, le grandi contraddizioni del paese: dalla deforestazione amazzonica alla difficile situazione nelle campagne, fino alla crescente criminalità dei grandi centri urbani.

WAST LAND

WASTE LAND Official Trailer from Almega Projects on Vimeo.

Michael Cimino, regista e presidente della giuria di CinemAmbiente 2011

martedì 31 maggio 2011

UNA STRANA STORIA di Simone Farulla



"Quella volta, per S., non andò così. Lui non prese decisione, fu Decisione a impossessarsi di lui. Fu automatico. La sua volontà, il suo libero arbitrio, non ci entravano affatto. Sembrava una decisione presa da tempo, ma mai messa in atto. Progetto covato per giorni, mesi, anni, millenni forse. Disegno esatto, tracciato per lui da chissà quale mano, chissà quanto prima. Fu cosa naturale, l'esatta conseguenza, ciò che doveva essere fatto in quel preciso istante."

COLLISIONI 2011



mercoledì 20 aprile 2011

AIUTAMI A NON AVERE PAURA



Come descrivere il lappare quello strano gusto che è la malattia ia ia o? Le favole sono strette, la realtà troppo larga, i consigli stonati, la scienza non basta da sola, la speranza va bene, ma il bene va meglio . Un volo pindarico, ma un bel volo: "volar" bene alla malattia, parlarle, metterla a tua agio, chiederle che ti racconti come la puoi guarire ma soprattutto curare. Se ti prendi cura del malessere, cominci a star meglio, e mentre chiacchierate c'è più tempo per sciogliere il gelato della paura, e lei non proverà più nessun gusto! Provare per riuscire (astenersi scettici, pessimisti o solo realisti)
Alessandro Bergonzoni

martedì 5 aprile 2011

VOLCANO TRAIL


Qui il sommarioQui il resto del post

lunedì 4 aprile 2011

L'UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI


"Se si teneva a mente che era tutto scaturito dalle mani e dall'anima di quell'uomo, senza mezzi tecnici, si comprendeva come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre alla distruzione."

Film d'animazione di Frédérick Back tratto dal romanzo di Jean Giono. Vincitore del premio Oscar per il miglior cortometraggio d'animazione nel 1988.

venerdì 18 febbraio 2011

18 mila giorni. Il Pitone


Riflessioni personali e epocali di un uomo che, dopo diciottomila giorni di vita, ovvero a cinquant’anni, perde il proprio lavoro e scopre come siano mutate radicalmente le prospettive e le aspettative sociali in Italia, da un’epoca in cui il lavoro era un diritto e un elemento fondante dell’umana dignità, al trionfo dell’odierno precariato, divenuto forma più o meno palese di ricatto sociale. Protagonisti di 18mila giorni Giuseppe Battiston, pluripremiato attore di cinema e teatro, (recentissimo il Premio Ubu come miglior attore italiano per Orson Welles’ Roast) insieme al cantautore Gianmaria Testa comporrà brani inediti appositamente per lo spettacolo basato su un testo dello scrittore torinese Andrea Bajani.La perdita del lavoro, accompagnata dalla perdita di identità, è qualcosa di vergognoso, un’umiliazione nei confronti della famiglia, dei vicini e del mondo che ti circonda. Il protagonista, disoccupato, è ridicolo; non riesce a rialzarsi dai colpi subiti da una società cinica, volubile e consumistica che butta via tutto ciò che non rende più.
Questo è l’argomento che ci ha coinvolto tutti quanti.
Fa un certo effetto pensare che “18 mila giorni” corrispondono a 50 anni, un’età che non dà nessuna certezza per il futuro, e che, anzi, rappresenta un impedimento. Le carriere in transito prendono il sopravvento. Perdere tutto in un pomeriggio, lavoro, moglie e figlio, è un paradosso quotidiano, può capitare a chiunque. Con il teatro e la musica e con la speranza che questo mondo che sembra essere immutabile possa essere cambiato, noi affronteremo e racconteremo questa storia.

martedì 8 febbraio 2011

ARTO PAASILINNA


Giornalista quarantenne a Helsinki, Vatanen ha raggiunto quel momento dell’esistenza in cui di colpo ci si chiede quel “ma perché” che si è cercato sempre di reprimere. Una sera, tornando in macchina da un servizio fuori città, investe una lepre, che fugge ferita nella campagna. Vatanen scende dall’auto, la trova, la cura e sparisce con lei nei boschi. Da quel momento inizia il racconto delle svariate, stravaganti, spesso esilaranti peripezie di Vatanen, trasformato in un vagabondo che parte all’avventura. Un libro-culto nei paesi nordici che ha creato un genere nuovo: il romanzo umoristico ecologico.

VAURO. FARABUTTO


mpenitenti, sarcastici, ironici, velenosi, ma anche inaspettatamente poetici: gli scritti satirici di Vauro riverberano il suo sguardo graffiante sull’Italia, la nostra politica, il pantano nostrano e internazionale. Sono – ognuna a suo modo – dichiarazioni d’amore: non quello sdolcinato buono al più per incartare cioccolatini, né quello interessato a cui si intitolano partiti. Sono scritti corsari, pirateschi arrembaggi dialettici, dichiarazioni d’amore molesto.

Se avete fatto le ore piccole pur di non rinunciare al piacere liberatorio della satira di Vauro ad Annozero, se avvertite il bisogno di un prontuario di resistenza umana per non affogare nell’onda di melma che minaccia di sommergerci, questo è il libro che aspettavate. Un concentrato di pensieri, parole e disegni, corrosivo antidoto alla catalessi mediatica.

giovedì 20 gennaio 2011

Elio canta ''Mamma, gli ci vuol la fidanzata''

Nucleare: il contro-spot di Greenpeace usa l'ironia

L'associazione ambientalista lancia una campagna per replicare con il sarcasmo a quella del Forum a sostegno del ritorno all'atomo. "Quella era una pubblicità scorretta realizzata con i soldi dei contribuenti"

martedì 11 gennaio 2011

Nebulosa Tarantula



Come Dylan: tutti i motivi per abbandonare Facebook


L'idea di Bob Dylan per Subterranean Homesick Blues - il testo della canzone scritto su fogli di cartone - ha ispirato un giovane filmmaker del Minnesota (USA) per girare un video che spiega tutti i motivi per cui bisognerebbe fare a meno di Facebook. "Ciao, sono Ross. Ho qualcosa da dirvi su Facebook. Dovete uscirne": inizia con questi cartelli il video "discorso" di un ragazzo ripreso in strada tra la folla. Sulle note di un brano dei Thievery Corporation seguono tutti i suoi ironici perché: "Essere taggati. Non piace a nessuno". "Non hai 852 amici. Nella realtà ne hai circa 4. E questo va bene. 4 amici a cui parli sono meglio di 848 che non vuoi vedere e che invece sono felici di spiarti". E ancora: "Uno di questi sta vedendo una tua foto proprio ora. E ti sta giudicando". Poi la frase chiave: "Non ho un account - spiega Ross con i suoi cartelli - sono 'pulito' da 5 mesi e 17 giorni. E sono felice". E infine la brillante conclusione: "Ironia della sorte, forse stai guardando questo video su Facebook. Ricordati che sei molto più interessante del tuo profilo". (dal sito di Repubblica)

Mistero Buffo - Dario Fo e Franca Rame in scena al Teatro Nuovo di Milano


Esattamente 41 anni fa andavamo in scena qui a Milano con Mistero Buffo. Era il 1969. Recitavamo in un capannone di una piccola fabbrica dismessa dalle parti di Porta Romana che noi avevamo trasformato in una sala di teatro con il nostro gruppo.

In quell’occasione Franca ed io ci alternavamo sul palcoscenico eseguendo monologhi di tradizione popolare, tratti da giullarate e fabliaux del medioevo, non solo italiane, ma provenienti da tutta Europa. Lo spettacolo ottenne grande successo e venne replicato centinaia di volte nel nostro teatro di via Colletta, in palazzetti dello sport, chiese sconsacrate, locali cinematografici, in balere e perfino in teatri normali. Mistero Buffo cercava di dimostrare che esiste un teatro popolare di grande valore, nient’affatto succube o derivato da testi della tradizione erudita, espressione della cultura dominante. (Dal sito di Dario Fo)

mercoledì 5 gennaio 2011

Sì ai diritti, No ai ricatti. La società civile con la Fiom - Firma l’appello di Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais e Margherita Hack



FIRMA L'APPELLO

Il diktat di Marchionne, che Cisl e Uil hanno firmato, contiene una clausola inaudita, che nemmeno negli anni dei reparti-confino di Valletta era stata mai immaginata: la cancellazione dei sindacati che non firmano l’accordo, l’impossibilità che abbiano una rappresentanza aziendale, la loro abrogazione di fatto. Questo incredibile annientamento di un diritto costituzionale inalienabile non sta provocando l’insurrezione morale che dovrebbe essere ovvia tra tutti i cittadini che si dicono democratici. Eppure si tratta dell’equivalente funzionale, seppure in forma post-moderna e soft (soft?), dello squadrismo contro le sedi sindacali, con cui il fascismo distrusse il diritto dei lavoratori a organizzarsi liberamente.

Per questo ci sembra che la richiesta di sciopero generale, avanzata dalla Fiom, sia sacrosanta e vada appoggiata in ogni modo. L’inaudito attacco della Fiat ai diritti dei lavoratori è un attacco ai diritti di tutti i cittadini, poiché mette a repentaglio il valore fondamentale delle libertà democratiche. Ecco perché riteniamo urgente che la società civile manifesti la sua più concreta e attiva solidarietà alla Fiom e ai lavoratori metalmeccanici: ne va delle libertà di tutti.

Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Margherita Hack

Primi firmatari: don Andrea Gallo, Antonio Tabucchi, Dario Fo, Gino Strada, Franca Rame, Luciano Gallino, Giorgio Parisi, Fiorella Mannoia, Ascanio Celestini, Moni Ovadia, Lorenza Carlassarre, Sergio Staino, Gianni Vattimo, Furio Colombo, Marco Revelli, Piergiorgio Odifreddi, Massimo Carlotto, Valerio Magrelli, Enzo Mazzi, Valeria Parrella, Sandrone Dazieri, Angelo d'Orsi, Lidia Ravera, Domenico Gallo, Marcello Cini, Alberto Asor Rosa, don Paolo Farinella.

Lo spot atomico risulta radioattivo


In un Paese dove l’opposizione è accusata di ostacolare la regolare attività di governo, qualcuno considera normale che la lobby nucleare si tassi per affidare a se stessa l’informazione equilibrata da dare al popolo. Chicco Testa, presidente del Forum nucleare italiano, conosce l’argomento. L’Enel l’ha scelto per sanare i danni gravissimi da lui stesso prodotti alla cultura nucleare nazionale negli anni ‘80, quando guidava le manifestazioni per fermare le centrali. Lo spot, creato dalla Saatchi & Saatchi, solleva un problema più generale. L’informazione equilibrata e obiettiva sul nucleare, gestita dal Forum, è finanziata dalle seguenti aziende, in ordine alfabetico: Alstom, Ansaldo Nucleare, Areva, Confindustria, Eon, Edf, Edison, Enel, Federprogetti, Gdf Suez, Sogin, Stratinvest Ru, Techint, Technip, Tecnimont, Terna, Westinghouse. I dirigenti del Forum sono Bruno D’Onghia (capo in Italia dell’Edf, gigante elettrico nucleare francese), Karen Daifuku (nota lobbista internazionale del settore), e tre dirigenti Enel: Giancarlo Aquilanti, Paolo Iammatteo e Federico Colosi (di Giorgio Meletti dal sito http://www.ilfattoquotidiano.it/)

domenica 2 gennaio 2011

In Mongolia in Retromarcia



Raccontare di come ci abbia donato una figlia, la Mongolia, una volta entrati in consonanza con le sue musiche. Di come tutto quel viaggiare sia stata una lenta, anche sofferta, preparazione all'idea di procreare. Concepire l'idea di avere un figlio, prima ancora di concepirlo materialmente, quella la difficoltà maggiore, per un meccanismo tutto occidentale e tutto di testa rimescolato da libertà e paura. Occorre a volte battere cinquemila chilometri fuori pista per ricongiungersi a un'immagine ferma a pochi passi da noi, se soltanto si fossero aperti prima gli occhi nella direzione giusta. Ma "errare" è assieme "vagare" e "sbagliare" e questa sua doppiezza è il suo valore.

Nomadi erranti, sempre.