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mentono sapendo di mentine

venerdì 5 settembre 2008

La fabbrica dei tedeschi


Thyssen-Krupp, urla dal silenzio
Commuove il film di Calopresti

VENEZIA - La parte più emozionante di La fabbrica dei tedeschi, la docufiction che Mimmo Calopresti ha dedicato alla tragedia della Thyssen-Krupp di Torino, è il finale. In cui ascoltiamo la tefonata al 118 di un operaio di un altro padiglione, il primo a capire cos'era accaduto all'interno della famigerata "Linea 5": "Ci sono alcuni colleghi bruciati, camminano e mi chiedono aiuto", grida, a una centralinista che nemmeno riesce a capire l'indirizzo preciso a cui mandare le ambulanze. Mentre, sullo sfondo, di sentono le urla strazianti delle vittime...
Piccolo stacco, ed ecco l'ultimissima sequenza: da YouTube vediamo lo spot promozionale del gruppo tedesco, in cui bambini sorridenti si tengono la mano. Un contrasto che più stridente non si può, dunque. Per documentare l'assurdità della strage, la schizofrenia di un gruppo industriale che, almeno stando alle testimonianze dei lavoratori, ha mandato alcuni suoi dipendenti incontro al rischio e alla morte. In uno stabilimento che stava per essere smantellato: "Giuseppe me lo aveva detto qualche giorno prima di morire - racconta, tra le lacrime, la mamma di uno dei ragazzi morti - 'ci hanno abbandonato a noi stessi, non c'è più sicurezza'. Avrei dovuto capirlo in quel momento, che in quella fabbrica non doveva andarci più". Per il resto, il film - evento speciale della sezione Orizzonti - convince davvero. Forse perché tutto costruito su parole, sguardi, voci, pianti di parenti e amici delle vittime. Nella prima parte, interpretati da attori - da Valeria Golino a Monica Guerritore si sono prestati in tanti; e poi filmati mentre parlano in prima persona, confessandosi davanti al regista. Conosciamo così la vedova ancora innamoratissima del marito morto; o sentiamo raccontare degli operai che non ci sono più, e che sognavano di lasciare l'acciaieria per aprire un bar o una trattoria. Parla anche Antonio Boccuzzi, sopravvissuto per miracolo al rogo, ora deputato Pd. Ma a colpire non sono solo le testimonianze. Perché La fabbrica dei tedeschi è anche, indirettamente, un atto d'accusa contro i sindacati: è a loro che si rivolge ad esempio la rabbia delle migliaia di persone che, dopo la strage, manifestarono in piazza. "E' vero, questo elemento c'è - racconta il regista, battagliero come suo solito, dalla terrazza dell'hotel Excelsior - il problema è che il sindacato fa la politica nazionale. Anche Veltroni, che però mi ha contattato e ha organizzato la proiezione del mio film il giorno 24, a Roma. Ma noi non possiamo lasciar morire la gente perché intanto ci concentriamo solo sul fatto che tra due anni ci sarà la ripresa. Stasera a vedere il film viene Adriana Polverini (leader dell'Ugl, ndr): lei sì che è una ancora battagliera". Il che, detto da un autore dichiaratamente di sinistra, fa riflettere. E comunque Calopresti ne ha per tutti: i politici indifferenti, i giornali che si occupano troppo spesso di futilità. L'unico che si salva è Giorgio Napolitano: "Lui interviene tutti i giorni sul tema delle morti bianche. E' più lucido di tutti quei pazzi messi insieme". E mentre rivela che non gli dispiacerebbe fare anche delle fiction ("ma a modo mio, raccontando ad esempio gli operai che adesso se la prendono con quei poveri disgraziati dei rom"), non risparmia critiche alla Rai: "Perché un canale come RaiTre non trasmette un documentario sulle morti bianche? Il mio va su La7, e in prima serata. Perché loro non hanno il coraggio di farlo?". Ultimissima annotazione: sullo stesso tema, e sempre come evento speciale della sezione Orizzonti, qui alla Mostra domani è di scena anche un altro docufilm: si chiama ThyssenKrupp Blues, ed è diretto da Pietro Balla e Monica Repetto. (La Repubblica)


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