a

a
mentono sapendo di mentine

lunedì 26 aprile 2010

Il 25 aprile secondo Gianmaria Testa


Anche quest’anno il concerto-happening nelle Langhe cuneesi Insieme ai partigiani, le parole «semplicie e dure» di Erri De Luca

di Paolo Odello

Di nuovo sul palco della palestra comunale di Treiso, Langhe cuneesi terra di memoria partigiana e non solo di vini e tartufi. Gianmaria Testa in concerto per mantenere vivo quel 25 aprile che in troppi vorrebbero archiviare una volta per tutte. Lo affiancano Gabriele Mirabassi con il suo clarinetto, e le parole «semplici e dure» dello scrittore Erri De Luca. Concerto gratuito aperto a tutti (fino ad esaurimento dei posti), che chiude i festeggiamenti per il 25 aprile organizzati a Treiso (Cn) dall’Anpi. Un appuntamento che è ormai una tradizione, quel ritrovarsi fra amici, su di un palco montato alla buona. Un appuntamento che è ormai arrivato alla sua nona edizione. È dal 1956 che i partigiani vanno a Treiso, ogni 25 aprile si arrampicano in lenta processione fino al pilone eretto in ricordo del sacrificio dei Fratelli Ambrogio assassinati dai fascisti nel 1944. Ma è solo dall’aprile 2001 che, per iniziativa del Comandante Paolo Farinetti, alla fiaccolata ufficiale si aggiunge il concerto. Da sempre garantito dalla chitarra e dalla voce di Gianmaria Testa e dai vari amici che nel corso degli anni lo hanno affiancato. Musicisti, scrittori, giornalisti. Michele Serra, Giovanna Zucconi, Piero Ponzo, Nicola Negrini, Carlin Petrini: sul palco della palestra comunale sono passati in tanti. L’appuntamento è come sempre in piazza, poi, terminata la fiaccolata, ci si ritrova nella palestra, per raccontarsi, per ricordare, come si fa amici. «Ogni anno, purtroppo, i partigiani sono un po’ più vecchi, ogni anno, di conseguenza, la processione al Pilone, fatta rigorosamente a piedi, dura un pochino di più. Diventa difficile, perciò, indicare con esattezza l’orario di inizio. Ma non dimentichiamoci che non siamo a teatro, che questo non è un concerto come gli altri per i quali si paga un biglietto per entrare. Questa giornata è piuttosto la testimonianza della “nostra Resistenza”. Non dimentichiamolo», puntualizzano gli organizzatori. E infatti sul palco non si alternano oratori ufficiali e discorsi commemorativi, non parlano le autorità. «La gente riempie la palestra in silenzio e ascolta – racconta Gianmaria Testa - Qualcuno arriva da lontano. Molti sono giovani come i Fratelli Ambrogio e gli altri partigiani nel ’44. Ogni volta, prima del concerto, mi dico che cantare è poco, che ci vorrebbe un segno più forte, almeno un grido, per questi tempi di resistenza nuova. Ogni volta mi dico che il concerto è solo un pretesto. Conta la presenza. E il rifiuto di dimenticare». E proprio per non dimenticare, a poco più di un anno dalla scomparsa dell’ideatore dell’evento, il Comandante Paolo, quest’anno al concerto si aggiunge la creazione di un premio intitolato al comandante partigiano. «Voluto dalla famiglia Farinetti e promosso dall’Anpi di Alba insieme a Istituto storico della Resistenza di Cuneo e al Comune di Alba, città medaglia d’oro al valor militare – spiegano gli organizzatori – il premio è rivolto a opere scientifiche, cinematografiche, teatrali dedicate al tema della Resistenza nelle Langhe e nel Piemonte». La nuova iniziativa si propone di essere stimolo per quanti vogliano misurarsi con il patrimonio di esperienze e valori che Resistenza e Liberazione hanno lasciato in eredità.

domenica 25 aprile 2010

Al Gore, Saviano e l'informazione indipendente (24 aprile 2010)

A Perugia l'incontro dedicato al tema dell'indipendenza dell'informazione, tra il premio Nobel e lo scrittore. La serata si svolge nell'ambito della IV edizione del Festival internazionale del giornalismo di Perugia

1.Maria Latella introduce Roberto Saviano
(7m 38s)

2.L'intervento di Roberto Saviano
(23m 55s)

3.L'intervento di Al Gore
(33m 08s)

4.Il faccia a faccia Saviano-Al Gore

(54m 30s)

sabato 24 aprile 2010

Festa della Liberazione 2010



“Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione.”
(Piero Calamandrei, Milano, 26 gennaio 1955)

La sfida ad alta quota tra Edurne e Miss Oh Chi sarà la prima a scalare tutti gli Ottomila?


Oh Eun Sun insieme con Edurne Pasaban per un tè sotto la tenda.
In realtà, le due alpiniste si detestano (foto dal sito www.montagna.tv)
L'una è basca, l'altra è sudcoreana; a una manca la vetta del Shisha Pangma, all'altra l'Annapurna. Sponsor, televisioni e spostamenti in elicottero trasformano però la loro corsa "rosa" alla conquista del titolo in una specie di reality show che poco ha a che fare con lo spirito dell'alpinismo
di LAURA FUGNOLI
Dicono che appena conquistati tutti gli Ottomila del mondo si cercheranno dei fidanzati e proveranno un'altra difficile impresa: diventare madri. Per ora i loro amanti, cattivi, nervosi, rischiosissimi e gelidi si chiamano Annapurna e Shisha Pangma; uno sta in Nepal, l'altro in Tibet.

Edurne Pasaban, basca trentasettenne e Oh Eun Sun, sudcoreana di 44 anni, in queste ore si stanno giocando un record: essere le prime donne a raggiungere tutti e 14 gli Ottomila del globo. A Edurne manca il Shisha Pangma, la più bassa fra le cime himalayane, 8046 metri; per Eun Sun da conquistare ci sono gli 8091 metri dell'Annapurna, montagna ben più insidiosa.
Ma non si può dire che una sia avvantaggiata rispetto all'altra; basta una giornata troppo calda o una bufera in più e tutto può cambiare. Poche ore, o pochi giorni, e la sfida finirà, con i suoi costi fisici e i vistosi investimenti di sponsor e tv. Edurne ha conquistato la penultima vetta, che per lei era proprio l'Annapurna, il 17 aprile scorso portandosi in cima uno stuolo di cameramen e fotografi, oltre che accompagnatori e sherpa: una trentina di persone in tutto, alcuni piazzati nei campi base a 5 e 7 mila metri, altri (la troupe di "Al filo de lo imposible") con lei fino alla cima. Perché, ormai, le montagne si salgono solo se c'è già il film pronto da vendere.

Di corsa, per farla in barba all'amica-nemica coreana, Edurne ha piazzato chiodi e corde fisse ed ha anticipato la collega, pur sapendo che violare l'Annapurna a metà aprile vuol dire rischiare di trovare troppa neve. C'è arrivata dopo aver scansato una enorme valanga e, una volta raggiunta la cima, si è infilata in un elicottero e si è fiondata alla base del Shisha, pronta per il prossimo attacco.


Il faraonico carrozzone di Oh Eun Sun si è mosso diversamente. La coreana bazzica l'Annapurna dall'autunno scorso, quando ha già tentato invano l'approccio. Era già a quota 13 Ottomila ed era convinta di spuntarla anche sull'altra himalaysta in corsa, l'austriaca Gerlinde Kaltenbrunner, rimasta indietro a 12 cime. Invece è stata rispedita a casa da una bufera interminabile. Miss Oh ha dovuto a quel punto far trascorrere l'impossibile inverno himalayano prima di tornarci, a fine marzo. Si è acclimatata, ha preparato tutto per bene e ha programmato la salita nel momento giudicato opportuno dai suoi meteorologi (fissi al campo base) per la fine di questo mese.

Poi però è arrivata Edurne come una furia e le ha rovinato i piani. Ora sono 13 a 13, e nonostante si siano fatte fotografare in tenda mentre bevono affabilmente il tè insieme, in realtà si detestano. E' una gara che "fa fare solo brutta figura alle donne", dice Nives Meroi, friulana con 11 Ottomila in carnet: "Edurne e Miss Oh si limitano a imitare gli uomini, rischiando di diventarne la pessima copia. Non puoi solo far vedere che sei capace di performance micidiali da Wonder Woman, devi dare un senso a quello che fai. Non c'è solo il risultato, c'è anche il percorso". Arrivare da un campo base all'altro con l'elicottero, farsi portare tutto dagli sherpa non è vero alpinismo, secondo la Meroi che ha rinunciato alla corsa per dedicarsi al marito-compagno di cordata Romano Benet, colpito da una seria patologia del midollo.

La Meroi ha sempre viaggiato leggera, senza portatori e con budget che non oltrepassavano i 13mila euro a spedizione. Per i kolossal della Pasaban e di Miss Oh si parla di centinaia di migliaia di dollari investiti e di cachet da favola per chi vince. "Così è come partecipare a un reality - conclude Nives - se vinci, dopo hai più soldi, ti pagano le serate e magari fai un film come attrice. Questo non è vivere la montagna, è usarla".

giovedì 15 aprile 2010

IO STO CON EMERGENCY


Sabato 10 aprile militari afgani e della coalizione internazionale hanno attaccato il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah e portato via membri dello staff nazionale e internazionale. Tra questi ci sono tre cittadini italiani: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.

Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi EMERGENCY ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso.

SABATO 17 - ore 14,30
Appuntamento in Piazza San Giovanni ROMA


FIRMA L'APPELLO

Cannes, Luchetti in corsa per la Palma d'oro e fuori concorso la Guzzanti con "Draquila"


PARIGI - Un solo film italiano - La nostra vita di Daniele Luchetti, con Elio Germano, Isabella Ragonese e Raoul Bova - nel concorso principale del Festival di Cannes. La notizia, già nell'aria da alcuni giorni, è stata confermata questa mattina, alla conferenza stampa di presentazione della grande kermesse cinematografica che si tiene, come ogni anno, sulla Croisette. Ma c'è anche - fuori concorso - un'altra pellicola tricolore. Ed è una di quelle destinate a far discutere: si tratta di Draquila, il documentario di Sabina Guzzanti sul terremoto abruzzese, su Berlusconi e sugli scandali legati alla ricostruzione.

Per il resto, il Festival, come già annunciato, sarà aperto da Robin Hood di Ridley Scott, con Russell Crowe. In competizione - a contendere a Luchetti la Palma d'oro e gli altri premi - grandi autori internazionali come Abbas Kiarostami (Copie conformè), Takeshi Kitano (Outragè), Bertrand Tavernier (La princesse de Montpensier), Alejandro Gonzalez Inarritu (Biutiful). Fuori concorso ci sono Woody Allen (You will meet a tall dark stranger), Stephen Frears (Tamara Drew) e Oliver Stone (Wall street 2: Money Never sleeps).

Ma il Festival di Cannes parla italiano anche nella composizione della giuria presieduta da Tim Burton: del piccolo gruppo fanno parte Giovanna Mezzogiorno e Alberto Barbera, direttore del Museo nazionale del cinema di Torino. Insieme a Benicio del Toro, a Kate Beckinsale, allo scrittore e cineasta Emmanuel Carrere, ai registi Victor Erice e Shekhar Kapur. E al grande autore iraniano Jaffar Panahi, ancora detenuto nel suo Paese: un gesto che vuole essere una (giusta) sfida al regime che mette a tacere oppositori e artisti

Quanto a La nostra vita, il film segna il ritorno alla regia di Luchetti dopo il successo di Mio fratello è figlio unico, sempre con Germano protagonista: stavolta la storia è quella di un operaio della periferia romana alle prese con un lutto, e con la spirale dei soldi facili. Nel cast anche Luca Zingaretti. Fino all'ultimo momento i rumors pre-festivalieri hanno dato la pellicola in ballo tra la sezione Un certain ragard e il concorso principale. Per fortuna del film e del cinema italiano, alla fine l'ha spuntata la seconda opzione.

Qui il resto del post

Benedetto XVI ha fallito i cattolici perdono la fiducia di HANS KÜNG


Negli anni 1962-1965 Joseph Ratzinger - oggi Benedetto XVI - ed io eravamo i due più giovani teologi del Concilio. Oggi siamo i più anziani, e i soli ancora in piena attività. Ho sempre inteso il mio impegno teologico come un servizio alla Chiesa. Per questo, mosso da preoccupazione per la crisi di fiducia in cui versa questa nostra Chiesa, la più profonda che si ricordi dai tempi della Riforma ad oggi, mi rivolgo a voi, in occasione del quinto anniversario dell'elezione di papa Benedetto al soglio pontificio, con una lettera aperta. È questo infatti l'unico mezzo di cui dispongo per mettermi in contatto con voi.

Avevo apprezzato molto a suo tempo l'invito di papa Benedetto, che malgrado la mia posizione critica nei suoi riguardi mi accordò, poco dopo l'inizio del suo pontificato, un colloquio di quattro ore, che si svolse in modo amichevole. Ne avevo tratto la speranza che Joseph Ratzinger, già mio collega all'università di Tübingen, avrebbe trovato comunque la via verso un ulteriore rinnovamento della Chiesa e un'intesa ecumenica, nello spirito del Concilio Vaticano II. Purtroppo le mie speranze, così come quelle di tante e tanti credenti che vivono con impegno la fede cattolica, non si sono avverate; ho avuto modo di farlo sapere più di una volta a papa Benedetto nella corrispondenza che ho avuto con lui.

Indubbiamente egli non ha mai mancato di adempiere con scrupolo agli impegni quotidiani del papato, e inoltre ci ha fatto dono di tre giovevoli encicliche sulla fede, la speranza e l'amore. Ma a fronte della maggiore sfida del nostro tempo il suo pontificato si dimostra ogni giorno di più come un'ulteriore occasione perduta, per non aver saputo cogliere una serie di opportunità:

- È mancato il ravvicinamento alle Chiese evangeliche, non considerate neppure come Chiese nel senso proprio del termine: da qui l'impossiblità di un riconoscimento delle sue autorità e della celebrazione comune dell'Eucaristia.
- È mancata la continuità del dialogo con gli ebrei: il papa ha reintrodotto l'uso preconciliare della preghiera per l'illuminazione degli ebrei; ha accolto nella Chiesa alcuni vescovi notoriamente scismatici e antisemiti; sostiene la beatificazione di Pio XII; e prende in seria considerazione l'ebraismo solo in quanto radice storica del cristianesimo, e non già come comunità di fede che tuttora persegue il proprio cammino di salvezza. In tutto il mondo gli ebrei hanno espresso sdegno per le parole del Predicatore della Casa Pontificia, che in occasione della liturgia del venerdì santo ha paragonato le critiche rivolte al papa alle persecuzioni antisemite.
- Con i musulmani si è mancato di portare avanti un dialogo improntato alla fiducia. Sintomatico in questo senso è il discorso pronunciato dal papa a Ratisbona: mal consigliato, Benedetto XVI ha dato dell'islam un'immagine caricaturale, descrivendolo come una religione disumana e violenta e alimentando così la diffidenza tra i musulmani.
- È mancata la riconciliazione con i nativi dell'America Latina: in tutta serietà, il papa ha sostenuto che quei popoli colonizzati "anelassero" ad accogliere la religione dei conquistatori europei.
- Non si è colta l'opportunità di venire in aiuto alle popolazioni dell'Africa nella lotta contro la sovrappopolazione e l'AIDS, assecondando la contraccezione e l'uso del preservativo.
- Non si è colta l'opportunità di riconciliarsi con la scienza moderna, riconoscendo senza ambiguità la teoria dell'evoluzione e aderendo, seppure con le debite differenziazioni, alle nuove prospettive della ricerca, ad esempio sulle cellule staminali.
- Si è mancato di adottare infine, all'interno stesso del Vaticano, lo spirito del Concilio Vaticano II come bussola di orientamento della Chiesa cattolica, portando avanti le sue riforme.
Quest'ultimo punto, stimatissimi vescovi, riveste un'importanza cruciale. Questo papa non ha mai smesso di relativizzare i testi del Concilio, interpretandoli in senso regressivo e contrario allo spirito dei Padri conciliari, e giungendo addirittura a contrapporsi espressamente al Concilio ecumenico, il quale rappresenta, in base al diritto canonico, l'autorità suprema della Chiesa cattolica:
- ha accolto nella Chiesa cattolica, senza precondizione alcuna, i vescovi tradizionalisti della Fraternità di S. Pio X, ordinati illegalmente al di fuori della Chiesa cattolica, che hanno ricusato il Concilio su alcuni dei suoi punti essenziali;
- ha promosso con ogni mezzo la messa medievale tridentina, e occasionalmente celebra egli stesso l'Eucaristia in latino, volgendo le spalle ai fedeli;
- non realizza l'intesa con la Chiesa anglicana prevista nei documenti ecumenici ufficiali (ARCIC), ma cerca invece di attirare i preti anglicani sposati verso la Chiesa cattolica romana rinunciando all'obbligo del celibato.
- ha potenziato, a livello mondiale, le forze anticonciliari all'interno della Chiesa attraverso la nomina di alti responsabili anticonciliari (ad es.: Segreteria di Stato, Congregazione per la Liturgia) e di vescovi reazionari.

Papa Benedetto XVI sembra allontanarsi sempre più dalla grande maggioranza del popolo della Chiesa, il quale peraltro è già di per sé portato a disinteressarsi di quanto avviene a Roma, e nel migliore dei casi si identifica con la propria parrocchia o con il vescovo locale.

So bene che anche molti di voi soffrono di questa situazione: la politica anticonciliare del papa ha il pieno appoggio della Curia romana, che cerca di soffocare le critiche nell'episcopato e in seno alla Chiesa, e di screditare i dissenzienti con ogni mezzo. A Roma si cerca di accreditare, con rinnovate esibizioni di sfarzo barocco e manifestazioni di grande impatto mediatico, l'immagine di una Chiesa forte, con un "vicario di Cristo" assolutista, che riunisce nelle proprie mani i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Ma la politica di restaurazione di Benedetto XVI è fallita. Le sue pubbliche apparizioni, i suoi viaggi, i suoi documenti non sono serviti a influenzare nel senso della dottrina romana le idee della maggioranza dei cattolici su varie questioni controverse, e in particolare sulla morale sessuale. Neppure i suoi incontri con i giovani, in larga misura membri di gruppi carismatici di orientamento conservatore, hanno potuto frenare le defezioni dalla Chiesa, o incrementare le vocazioni al sacerdozio.

Nella vostra qualità di vescovi voi siete certo i primi a risentire dolorosamente dalla rinuncia di decine di migliaia di sacerdoti, che dall'epoca del Concilio ad oggi si sono dimessi dai loro incarichi soprattutto a causa della legge sul celibato. Il problema delle nuove leve non riguarda solo i preti ma anche gli ordini religiosi, le suore, i laici consacrati: il decremento è sia quantitativo che qualitativo. La rassegnazione e la frustrazione si diffondono tra il clero, e soprattutto tra i suoi esponenti più attivi; tanti si sentono abbandonati nel loro disagio, e soffrono a causa della Chiesa. In molte delle vostre diocesi è verosimilmente in aumento il numero delle chiese deserte, dei seminari e dei presbiteri vuoti. In molti Paesi, col preteso di una riforma ecclesiastica, si decide l'accorpamento di molte parrocchie, spesso contro la loro volontà, per costituire gigantesche "unità pastorali" affidate a un piccolo numero di preti oberati da un carico eccessivo di lavoro.

E da ultimo, ai tanti segnali della crisi in atto viene ad aggiungersi lo spaventoso scandalo degli abusi commessi da membri del clero su migliaia di bambini e adolescenti, negli Stati Uniti, in Irlanda, in Germania e altrove; e a tutto questo si accompagna una crisi di leadership, una crisi di fiducia senza precedenti. Non si può sottacere il fatto che il sistema mondiale di occultamento degli abusi sessuali del clero rispondesse alle disposizioni della Congregazione romana per la Dottrina della fede (guidata tra il 1981 e il 2005 dal cardinale Ratzinger), che fin dal pontificato di Giovanni Paolo II raccoglieva, nel più rigoroso segreto, la documentazione su questi casi. In data 18 maggio 2001 Joseph Ratzinger diramò a tutti i vescovi una lettera dai toni solenni sui delitti più gravi ("Epistula de delictis gravioribus"), imponendo nel caso di abusi il "secretum pontificium", la cui violazione è punita dalla la Chiesa con severe sanzioni. E' dunque a ragione che molti hanno chiesto un personale "mea culpa" al prefetto di allora, oggi papa Benedetto XVI. Il quale però non ha colto per farlo l'occasione della settimana santa, ma al contrario ha fatto attestare "urbi et orbi", la domenica di Pasqua, la sua innocenza al cardinale decano.

Per la Chiesa cattolica le conseguenze di tutti gli scandali emersi sono devastanti, come hanno confermato alcuni dei suoi maggiori esponenti. Il sospetto generalizzato colpisce ormai indiscriminatamente innumerevoli educatori e pastori di grande impegno e di condotta ineccepibile. Sta a voi, stimatissimi vescovi, chiedervi quale sarà il futuro delle vostre diocesi e quello della nostra Chiesa. Non è mia intenzione proporvi qui un programma di riforme. L'ho già fatto più d'una volta, sia prima che dopo il Concilio. Mi limiterò invece a sottoporvi qui sei proposte, condivise - ne sono convinto - da milioni di cattolici che non hanno voce.
1. Non tacete. Il silenzio a fronte di tanti gravissimi abusi vi rende corresponsabili. Al contrario, ogni qualvolta ritenete che determinate leggi, disposizioni o misure abbiano effetti controproducenti, dovreste dichiararlo pubblicamente. Non scrivete lettere a Roma per fare atto di sottomissione e devozione, ma per esigere riforme!
2. Ponete mano a iniziative riformatrici. Tanti, nella Chiesa e nell'episcopato, si lamentano di Roma, senza però mai prendere un'iniziativa. Ma se oggi in questa o quella diocesi o comunità i parrocchiani disertano la messa, se l'opera pastorale risulta inefficace, se manca l'apertura verso i problemi e i mali del mondo, se la cooperazione ecumenica si riduce a un minimo, non si possono scaricare tutte le colpe su Roma. Tutti, dal vescovo al prete o al laico, devono impegnarsi per il rinnovamento della Chiesa nel proprio ambiente di vita, piccolo o grande che sia. Molte cose straordinarie, nelle comunità e più in generale in seno alla Chiesa, sono nate dall'iniziativa di singole persone o di piccoli gruppi. Spetta a voi, nella vostra qualità di vescovi, il compito di promuovere e sostenere simili iniziative, così come quello di rispondere, soprattutto in questo momento, alle giustificate lagnanze dei fedeli.
3. Agire collegialmente. Il Concilio ha decretato, dopo un focoso dibattito e contro la tenace opposizione curiale, la collegialità dei papi e dei vescovi, in analogia alla storia degli apostoli: lo stesso Pietro non agiva al di fuori del collegio degli apostoli. Ma nel periodo post-conciliare il papa e la curia hanno ignorato questa fondamentale decisione conciliare. Fin da quando, a soli due anni dal Concilio e senza alcuna consultazione con l'episcopato, Paolo VI promulgò un'enciclica in difesa della discussa legge sul celibato, la politica e il magistero pontificio ripresero a funzionare secondo il vecchio stile non collegiale. Nella stessa liturgia il papa si presenta come un autocrate, davanti al quale i vescovi, dei quali volentieri si circonda, figurano come comparse senza diritti e senza voce. Perciò, stimatissimi vescovi, non dovreste agire solo individualmente, bensì in comune con altri vescovi, con i preti, con le donne e gli uomini che formano il popolo della Chiesa.
4. L'obbedienza assoluta si deve solo a Dio. Voi tutti, al momento della solenne consacrazione alla dignità episcopale, avete giurato obbedienza incondizionata al papa. Tuttavia sapete anche che l'obbedienza assoluta è dovuta non già al papa, ma soltanto a Dio. Perciò non dovete vedere in quel giuramento a un ostacolo tale da impedirvi di dire la verità sull'attuale crisi della Chiesa, della vostra diocesi e del vostro Paese. Seguite l'esempio dell'apostolo Paolo, che si oppose a Pietro "a viso aperto, perché evidentemente aveva torto" (Gal. 2,11). Può essere legittimo fare pressione sulle autorità romane, in uno spirito di fratellanza cristiana, laddove queste non aderiscano allo spirito del Vangelo e della loro missione. Numerosi traguardi - come l'uso delle lingue nazionali nella liturgia, le nuove disposizioni sui matrimoni misti, l'adesione alla tolleranza, alla democrazia, ai diritti umani, all'intesa ecumenica e molti altri ancora hanno potuto essere raggiunti soltanto grazie a una costante e tenace pressione dal basso.
5. Perseguire soluzioni regionali: il Vaticano si mostra spesso sordo alle giustificate richieste dei vescovi, dei preti e dei laici. Ragione di più per puntare con intelligenza a soluzioni regionali. Come ben sapete, un problema particolarmente delicato è costituito dalla legge sul celibato, una norma di origine medievale, la quale a ragione è ora messa in discussione a livello mondiale nel contesto dello scandalo suscitato dagli abusi. Un cambiamento in contrapposizione con Roma appare pressoché impossibile; ma non per questo si è condannati alla passività. Un prete che dopo seria riflessione abbia maturato l'intenzione di sposarsi non dovrebbe essere costretto a dimettersi automaticamente dal suo incarico, se potesse contare sul sostegno del suo vescovo e della sua comunità. Una singola Conferenza episcopale potrebbe aprire la strada procedendo a una soluzione regionale. Meglio sarebbe tuttavia mirare a una soluzione globale per la Chiesa nel suo insieme. Perciò
6. si chieda la convocazione di un Concilio: se per arrivare alla riforma liturgica, alla libertà religiosa, all'ecumenismo e al dialogo interreligioso c'è stato bisogno di un Concilio, lo stesso vale oggi a fronte dei problemi che si pongono in termini tanto drammatici. Un secolo prima della Riforma, il Concilio di Costanza aveva deciso la convocazione di un concilio ogni cinque anni: decisione che fu però disattesa dalla Curia romana, la quale anche oggi farà indubbiamente di tutto per evitare un concilio dal quale non può che temere una limitazione dei propri poteri. È responsabilità di tutti voi riuscire a far passare la proposta di un concilio, o quanto meno di un'assemblea episcopale rappresentativa.
Questo, a fronte di una Chiesa in crisi, è l'appello che rivolgo a voi, stimatissimi vescovi: vi invito a gettare sulla bilancia il peso della vostra autorità episcopale, rivalutata dal Concilio. Nella difficile situazione che stiamo vivendo, gli occhi del mondo sono rivolti a voi. Innumerevoli sono i cattolici che hanno perso la fiducia nella loro Chiesa; e il solo modo per contribuire a ripristinarla è quello di affrontare onestamente e apertamente i problemi, per adottare le riforme che ne conseguono. Chiedo a voi, nel più totale rispetto, di fare la vostra parte, ove possibile in collaborazione con altri vescovi, ma se necessario anche soli, con apostolica "franchezza" (At 4,29.31). Date un segno di speranza ai vostri fedeli, date una prospettiva alla nostra Chiesa.
Vi saluto nella comunione della fede cristiana.

domenica 11 aprile 2010

Gesù. Il corpo, il volto nell’arte


La mostra è promossa e organizzata dal Consorzio di Valorizzazione Culturale La Venaria Reale sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica con il patrocinio di: Pontificio Consiglio della Cultura, Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici della CEI, Comitato per l’Ostensione della Sindone in collaborazione con: Arcidiocesi di Torino, Servizio nazionale della Conferenza episcopale italiana per il Progetto culturale, Associazione Sant’Anselmo - Imago Veritatis.

Nell’occasione dell’Ostensione della Sacra Sindone a Torino, è allestita presso La Venaria Reale una mostra focalizzata sull’interesse che la persona fisica di Gesù ha suscitato nell’arte occidentale. Composta di opere di pittura e scultura dal paleocristiano al barocco, la mostra si pone in parallelo all’evento religioso, mettendo in luce l’ampia prospettiva culturale di cui esso fa parte.
Le opere esposte, comprendenti un nucleo di capolavori prestati per l’avvenimento dai più importanti musei, chiese e collezioni italiane ed europee, sono organizzate in un percorso inteso a riscoprire la centralità del corpo nel pensiero europeo nonché a interrogarsi sul legame tra corpo umano e identità divina implicito nel culto della Sindone.
In tutto oltre 180 opere con capolavori, fra gli altri, di Andrea Mantegna, Luca della Robbia, Giovanni Bellini, Antonio del Pollaiolo, Correggio, Giorgione, Paolo Veronese, Tintoretto, Annibale e Ludovico Carracci, Guercino, Donatello, Rubens e Michelangelo con il suo magnifico Crocifisso ligneo fiorentino.

Stassèira

Prima l'avanspettacolo poi il film


Saluti e baci, saluti e baci a tutti in quantità. Cantanti, comici, ballerine, orchestrali e boys… Sapete che a Torino negli anni ’30 e ’40 agivano circa settanta locali di avanspettacolo da quelli lussuosi come il Reposi o il Maffei a quelli più sconosciuti e di barriera? Con una ricetta: vedi 2 e paghi 1. E sì perché due erano gli spettacoli: prima l’avanspettacolo poi il film e poi replica! Per non parlare della domenica quando gli spettacoli erano tre... e all’ultimo le ballerine avevano il trucco che colava ma il sorriso sempre stereotipato… Ci sono stati film (luci del varietà, vita da cani, polvere di stelle) che hanno ben riproposto questo clima particolare e suggestivo. L’avanspettacolo costa poco, lo spettatore (vedi Cesare Pavese) poteva pensare a un’avventura a lieto fine al termine dello spettacolo. I giovani di Barriera erano tra i clienti più fedeli. Tra i tanti avventori certo Gipo era tra i più assidui e qualche anno dopo avrebbe anche lui calcato i palcoscenici sotto lo pseudonimo di “Max l’Americano” Stassèira ci ridà la Torino del dopoguerra, la ricostruzione, il desiderio di ricominciare. La Torino della Barriera, dei bar e night, quella nebbiosa e fumosa di fabbriche e ciminiere degli anni ’50: il boogie-woogie ha sostituito la canzone melodica. È anche la Torino dei mercati e della prima ondata di immigrazione… Una Torino di povera gente che viveva di piccole cose ma grandi speranze. Gipo di questo mondo torinese è stato indubbiamente uno dei rappresentanti più accreditati e il più autorevole cantore. Era la Torino di Arpino, Fruttero e Lucentini, Levi, Calvino per citare qualche nome. Oggi Gipo ci propone una serie di appunti e di suggestioni per ricordare quel periodo con un filo conduttore che e lo stesso Gipo di ieri e di oggi con le sue canzoni, con le sue “incursioni” che raccontano un mondo al tutti noi ci avviciniamo con nostalgia. E con rispetto… «E adess podoma ancaminé?»